La figura di Ulisse ieri ed oggi

 

1 Giudizio di Cicerone su Ulisse

2 Catullo  Carme CI

3. U.Foscolo Dai “Sonetti” A Zacinto

4.  G. Pascoli ” L’ultimo viaggio”

5 . Il ricordo dell’Ulisse dantesco in Primo Levi

Cicerone De Officiis
Libro III cap.XXVI
 
XXVI.         Utile videbatur Ulixi, ut quidem poetae tragici  prodiderunt (nam, apud Homerum, optumum auctorem, talis de Ulixe nulla suspicio est), sed insimulant eum tragoediae simulatione insaniae militiam subterfugere voluisse. Non honestum consilium, at utile, ut aliquis fortasse dixerit, regnare et Ithacae vivere otiose cum parentibus, cum uxore, cum filio. Ullum tu decus in cotidianis laboribus et periculis cum hac tranquillitate conferendum putas ?   Ego vero istam contemnendam et abiciendam, quoniam, quae honesta non sit, ne utilem quidem esse arbitror. Quid enim auditurum putas fuisse Ulixem,si in illa simulatione perseveravisset? Qi  cum magimas res gesserit in bello, tamen haec audiat ab Aiace:
Cuius ípse princeps iúris iurandí fuit,
Quod ómnes scitis, sólus neglexit fidem;
Furere àdsimulare, né coiret, ínstitit.
 Quodní Palamedi perspicax prudéntia
Istíus percepset màlitiosam audàciam,
 Fidé sacratae iús perpetuo fàlleret.
 
Il1i vero non modo cum hostibus, verum etiam cum fluctibus, id quod fecit, dimicare melius fuit quam deserere consentientem Graeciam ad bellum barbaris inferendum.
Sed omittamus et fabulas et externa; ad rem factam nostramque veniamus.M. Atilius Regulus cum consul iterum in Africa ex insidiis captus esset, duce Xanthippo Lacedaemonio, imperatore autem patre Hannibalis Hamilcare, iuratus missus est ad senatum, ut, nisi redditi essent Poenis captivi nobiles quidam, rediret ipse Carthaginem.
 Is cum Romam venisset, utilitatis speciem videbat, sed eam, ut res declarat, falsam iudicavit; quae erat talis: manere in patria, esse domui suae cum uxore, cum liberis, quam calamitatem accepisset et in bello,communem fortunae bellicae iudicantem, tenere dignitatis gradum. Quis haec negat esse utilia ?, quem censes ? Magnitudo animi et forttitudo negat  

   Catullo – Carmina -CI

   Multas per gentes et multa per aequora vectu

Advenio has miseras,frater, ad inferias

  Ut  te postremo donarem munere mortis

 Et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
                                  

Quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
                                    

Heu miser indigne frater adempte mihi!
                                  

   Nunc tamen in terra haec, prisco quae more parentum
   

  Tradita sunt tristi munere ad inferias
                                    

  Accipe fraterno multum manantia fletu,
                                   

    Atque in perpetuum, frater, ave atque vale.

U. Foscolo ” A  Zacinto” 

A ZACINTO
Nè mai più toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
 Zacinto mia, che te specchi nell’ onde
Del greco mar , da cui Vergine nacque
 
Venere, e fea quell’ isole feconde
 Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
 L’ inclito verso di colui  che 1′ acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio,
Per cui bello di fama e di sventura,
Baciò la sua petrosa Itaca Ulísse.
 
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra: a noi prescrisse
Il  fato illacrimata sepoltura.
[1803].

G. Pascoli ” L’ultimo viaggio “

Giovanni Pascoli
L’ultimo viaggio
 
Le Sirene
 
Indi più lungi navigò, più triste.
E stando a poppa il vecchio Eroe guardava
verso la terra de’ Ciclopi,
e vide dal cocuzzolo selvaggio
  del monte, che in disparte era degli altri,  5
levarsi su nel roseo  cielo un fumo,
tenue, leggiero, quale esce su l’alba
del fuoco che al pastor arse la notte.
Ma i remiganti curvi sopra i remi
vedean sì, nel violaceo mare                    10
lunghe tremare l’ombre dei Ciclopi
fermi sui lidi come ispidi monti.
E il cuore intanto di Odisseo vegliardo
squittiva dentro, come cane in sogno.
-Il mio sogno non era altro che sogno ;      15
e vento e fumo. Ma sol buono è il vero.-
e gli sovvenne delle due Sirene.
C’era un prato di fiori in mezzo al mare.
Nella gran calma le ascoltò cantare:
-Ferma la nave! Odi le Sirene.                    20
ch’hanno la voce come è dolce il miele;
 ché  niuno passa su la nave nera
che non si fermi ad ascoltarci appena,
e non ci ascolta, che non goda al canto,
né se ne va senza saper più tanto:                25
che noi sappiamo tutto quanto avviene
sopra la terra dove è tanta gente!-
Già sovveniva, e ripensò che Circe
gli invidiasse ciò che solo è bello:
saper le cose. E ciò dovea la Maga                30
dalle molt’erbe, in mezzo alle sue belve.
Ma l’uomo eretto, ch’ ha il pensier dal cielo,
dovea fermarsi udire, anche se l’ossa
avean pi da biancheggiar nel prato,
e raggrinzarsi intorno lor la pelle.                    35
Passar ei non dovea oltre, se anco
gli si vietava riveder la moglie
e il caro figlio e la sua patria terra.
E ai vecchi curvi il vecchio Eroe parlò:
“Uomini, andiamo a ciò che solo è bene:           40
a udire il canto delle due Sirene.
Io voglio udirlo, eretto su la nave,
né già legato con le funi ignave:
libero! alzando su la ciurma anela
la testa bianca come bianca vela;                       45
e tutto quanto nella terra avviene
saper dal labbro delle due Sirene”.
Disse, e ne punse ai remiganti il cuore,
che seduti coi remi battean l’acqua.
saper volendo ciò che avviene in terra:                 50
se avea fruttato la sassosa vigna,
se la vacca avea fatto, se il vicino
avea d’orzo più raccolto o meno,
che facea la fida moglie allora,
 se andava al fonte, se filava in casa.
 
 
Il vero
Ed il prato fiorito era nel mare,
nel mare liscio come un cielo; e il canto
 non risuonava delle due Sirene;
ancora perché il prato era lontano.
E il vecchio eroe sentì che una sommessa                       5
forza, corrente sotto il mare calmo.
spingea la nave verso le Sirene;
e disse agli altri di innalzare i remi:
 “La nave corre da sè, compagni!
Non turbi il rombo del remeggio i canti
delle Sirene. Ormai le udremo. Il canto
placidi udite, il braccio su lo scalmo”.
e disse agli altri di innalzare i remi:
“la nave orsù corre da sé,compagni!
Non turbi il rombo del remeggio i canti                              10
delle Sirene. Ormai le udremo. Il canto
placidi udite,il braccio su lo scalmo”.
E la corrente tacita e soave 
più sempre avanti sospingea la nave.
E il divino Odisseo vide alla punta                                      15
dell’isola fiorita le Sirene,
stese tra i fiori con il capo eretto
su gli oziosi cubiti, guardando
il mare calmo avanti a sé, guardando 
il roseo sole che sorgea di contro;                                      20
guardando immote; e la lor ombra lunga
dietro rigava l’isola dei fiori.
“Dormite? L’alba già passò. Già gli occhi
vi cerca il sole tra le ciglia molli.
Sirene, io sono ancora quel mortale                                    25 
che v’ascoltò, ma ma non poté sostare”.
E la corrente tacita e soave 
più sempre vanti spinge la nave.
E quel vecchio vide che le sue Sirene,
le ciglia alzate su le due pupille,                                           30
avanti a sé miravano, nel sole 
fisse, od io in lui, nella sua nave nera.
E su la calma immobile del mare,
alta e sicura egli alzò la voce.
 “Son io, son io, che torno per sapere!                                 35
Ché molto io vidi, come voi vedete
me. Sì; ma tutto ch’io guardai nel mondo
mi riguardò; mi domandò: Chi sono?”.
E la corrente tacita  e soave
più sempre avanti sospingea la nave                                      40.
E il vecchio vide un grande mucchio d’ossa
d’uomini, e pelli raggrinzate intorno,
presso le due Sirene, immobilmente stese
sul lido, simili a due scogli.
 “Vedo. Sia pure.Questo duro ossame                                  45
cresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate!
Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,
prima ch’io muoia. a ciò ch’io sia vissuto!”
E la corrente rapida e soave 
più sempre avanti sospinge la nave                                        50.
E s’ergean su la nave alte le fronti,
con gli occhi fisse delle due Sirene.
“Solo mi resta un attimo.Vi prego!
Ditemi almeno chi sono io! chi ero!”
E tra i due scogli si spezzò la nave                                          55
 
(Da  Poesie  Mondadori  Milano 1978)

Il ricordo dell”ulisse dantesco in Primo Levi

Primo Levi
 
Se questo è un uomo
 
Il ricordo del canto di Ulisse in Primo Levi
 
Mentre l’autore con altri detenuti sta pulendo l’interno di  una cisterna. si affaccia Jean,studente anziano, il “Pikolo” della squadra,cioè colui che avendo una serie di incombenze, gode di qualche privelegio: Jean è  benvoluto perchè mantiene rapporti umani con i compagni, aiutandoli in tutti i modi.
 
Appeso alla scala con una mano oscillante mi indico:
Ajourd’hui c’est Primo qui viendra avec moi cercher la soupe.
Fino al giorno prima era stato Stern, il transilvano strasbico; ora questi era caduto in disgrazia per non so che storia di scope rubate in magazzino e Pikolo era riuscito ad appoggiare la mia candidatura come aiuto nell'”Essenholen, nella corvée quotidiana del rancio.
Si arrampicò fuori, ed io lo seguii, sbattendo le ciglia nello splendore del giorno. Faceva tiepido fuori, il sole sollevava dalla terra grassa un leggero odore di vernice e di catrame che mi ricordava una qualche spiaggia estiva della mia infanzia. Pikolo mi diede una delle due stanghe e ci incamminammo sotto un chiaro cielo di giugno.
Cominciavo a ringraziarlo, ma mi interruppe, non occorreva: Si vedevano i Carpazi coperti di neve. Respirai l’aria fresca, mi sentivo insolitamente leggiero.
……………………………………….. Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà: Capirà: oggi mi sento da tanto.
……….Chi è Dante.Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso: Virgilio è la Ragione, Beatrice la Teologia.
Jean è attentissimo ed comincio lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica.
Indi, la cima in qua e là menando
come fosse la lingua che parlasse
mise fuori la voce e disse: Quando?
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”.
E poi “Quando”? Il nulla.Un buco nella memoria. “Prima che sì Enea lo nominasse”. Altro buco. viene a galla qualche frammento non utilizzabile: “…la pietà del vecchio padre, né il debito amore Che dovea Penelope far lieta……” sarà poi esatto?
…………….Ma misi me per l’alto mare aperto
Di questo sì, di questo son sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché ” misi me” non è “je me mis” è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare   se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto; Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si  chiude su se stesso, libero diritto e semplice e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
Siamo arrivati al Kraftwerk, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci deve essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori dalla trincea. mi fa un cenno colla mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare.
 “Mare aperto”. ” Mare aperto”. So che rima con  “diserto”; “……..quella compagnia picciola, dalla qual non fui diserto”,, ma non rammento più se viene pria o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle Colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio: Non ho salvato un verso, ma vale la pena di fermarcisi.
…………………………….Acciò che l’uom più oltre non si metta
“Si metta” dovevo venire in un Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima ” e misi me”. Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante.Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco, attento PiKolo, apri gli occhi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguire virtude e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta; come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono.
Pikolo mi pregava di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene: O forse è qualcosa di più: forse nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle. ………….e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol
dire “acuti”. Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile “……Lo lume era di sotto della luna” o qualcosa di simile; ma prima?….Nessuna idea “Keine Almug” come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
-Ca ne fait rien. vas-y tout de meme.
………………Quando mi apparve una montagna bruna
per la distanza e parvemi alta tanto
che mai veduta non avevo alcuna.
Sì, sì “alta tanto”, non ” molto alta”, proposizione consecutiva: e le montagne, quando si vedono di lontano….le montagne……oh Pikolo, Pikolo, dì qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Basta, biosgna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.
Darei la zuppa di oggi per saper saldare ” non avevo alcuna col finale”. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, mi mordo le dita, ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi “…………la terra lagrimosa diede vento………..”no, è un’altra cosa. e’ tardi, e’ tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fè girar con tutte l’acque,
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, come altrui piacque………
Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque” prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e latro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui….
Siamo ormai alla fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Komandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle.-Kraut und Ruben?-Kraut und Ruben-. Si annunzia che la zuppa è di cavoli e rape- Choux et navets.- Kaposzta es repak
Infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.  
 
  
 
 
 

  
 
 
 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

  

 

 

 

La figura di Ulisse ieri ed oggi
Hom. Ody.L l.XII vv.184- 214

 

 

 

 

 

 

 

  

 

La presenza di Orfeo ed Euridice in Virgilio e Quasimodo

i1. Episodio di Orfeo ed Euridice in Virgilio

2. Salvatore Quasimodo – Dalla Silloge ” La vita non è sogno” Dialogo

3.Traduzione quasimodea dell’episodio virgiliano di Orfeo ed Euridice

4. L’interpretazione di Orfeo in Blanchot

VIRGILIO
At cantu commotae Erebi de sedibus imis
umbrae ibant tenues simulacraque luce carentum,
quam multa in foliis avium se milia condunt,
vesper ubi aut hibernus agit de montibus imber,
matres atque viri defunctaque corpora vita
magnanimum heroum, pueri innuptaeque puellae
impositique rogis iuvenes ante ora parentum;
quos circum limus niger et deformis harundo
Cocyti tardaque palus inamabilis unda
alligat et noviens Styx interfusa coercet.
Quin ipsae stupuere domus atque intima Leti
Tartara caeruleosque implexae crinibus angues
Eumenides, tenuitque inhians tria Cerberus ora
atque Ixioni vento rota constitit orbis.
Iamque pedem referens casus evaserat omnis,
redditaque Eurydice superas veniebat ad auras
pone sequens (namque hanc dederat Proserpina legem),
cum subita incautum dementia cepit amantem,
ignoscenda quidem, scirent si ignoscere manes:
restitit Eurydicemque suam iam luce sub ipsa
immemor, heu, victusque animi respexit. Ibi omnis
effusus labor atque immitis rupta tyranni
foedera terque fragor stagnis auditus Averni.
Illa: « Quis et me » inquit « miseram et te perdidit, Orpheu,
quis tantus furor? En iterum crudelia retro
fata vocant conditque natantia lumina somnus.
Iamque vale: feror ingenti circumdata nocte
invalidasque tibi tendens, heu non tua, palmas… ».
Dixit et ex oculis subito, ceu fumus in auras
commixtus tenues, fugit diversa neque illum
prensantem nequiquam umbras et multa volentem
dicere praeterea vidit; nec portitor Orci
amplius obiectam passus transire paludem.
Quid faceret ? Quo se rapta bis coniuge ferret?
Quo fletu manes, quae numina voce moveret ?
Illa quidem Stygia nabat iam frigida cumba.
Septem illum totos perhibent ex ordine menses
rupe sub aeria deserti ad Strymonis undam
flevisse et gelidis haec evolvisse sub astris
mulcentem tigres et agentem carmine quercus;
qualis populea maerens Philomela sub umbra
amissos queritur fetus, quos durus arator
observans nido implumes detraxit; at illa
flet noctem ramoque sedens miserabile carmen
integrat et maestis late loca questibus implet.
Nulla Venus, non ulli animum flexere hymenaei
Solus Hyperboreas glacies Tanaimque nivalem
arvaque Riphaeis numquam viduata pruinis
lustrabat, raptam Eurydicem atque inrita Ditis
dona querens; spretae Ciconum quo munere matres,
 
inter sacra deum nocturni orgia Bacchi
discerptum latos iuvenem sparsere per agros.
Tum quoque marmorea caput a cervice revulsum
gurgite cum medio portans Oeagrius Hebrus
volveret,Eurydicem vox ipsa et frigida lingua,
ah, miseram Eurydicem anima fugiente vocabat,
Eurydicem toto referebant flumine ripas.
 
( Virgilio- Georgiche- libro IV vv.471-527)

  Traduzione quasimodea dell’episodio virgiliana
 
E subito dal più profondo Erebo,commosse dal canto,
ombre venivano leggere e parvenze di morti:
a migliaia, quasi stormi di uccelli che si posano
tra le foglie, quando la sera o l’aspra pioggia d’inverno
li caccia giù dai monti; donne e uomini, e corpi
di magnanimi eroi morti, e fanciulli e fanciulle,
e giovani arsi sul rogo davanti ai genitori.
E ora il fango nero e la squallida canna del Cocito,
e la palude lurida con la sua acqua pigra
ti stringe d’intorno, e lo Stige con nove giri li rinserra.
Stupirono le case di Lete e i luoghi più remoti
del Tartaro, e le Eumenidi dai capelli azzurri di serpi;
e Cerbero restò muto con le tre bocche aperte,
e la ruota d’Issione si fermò insieme al vento.
E già Orfeo tornava, vinto ogni pericolo,
ed Euridice veniva verso la luce del cielo
seguendolo alle spalle (così impose Proserpina),
quando una follia improvvisa lo travolse,
da perdonare, certo, se i Mani sapessero perdonare.
Orfeo già presso la luce, vinto d’amore,
la sua Euridice si voltò a guardare.
Così fu rotta la legge del duro tiranno,
e tre volte un fragore s’udì per le paludi d’Averno
. ‘Quale follia” ella disse, “rovinò me infelice,
e te, Orfeo? Il fato avverso mi richiama indietro,
e il sonno della morte mi chiude gli occhi confusi
. E ora, addio: sono trascinata dentro profonda notte,
e non più tua, tendo a te le mani inerti.”
Disse; e d’improvviso svanì come fumo nell’aria
leggera, e non vide più lui che molte cose
voleva dirle e che invano abbracciava le ombre;
ma chi traghetta le acque dell’Orco
non gli permise più di passare di là dalla palude.
Che poteva egli fare? Dove andare ora che la sposa
gli veniva tolta ancora con violenza? Con quale
pianto impietosire i Mani, con quale canto i numi?
Orma fredda, navigava nella barca dello Stige
Dicono che Orfeo pianse, per sette mesi, senza quiete
sotto un’alta rupe in riva al deserto Strimone,
e che narrò le sue pene dentro gelidi antri,
facendo mansuete le tigri,
e traendosi dietro le querce col canto.
Così dolente usignolo tra le foglie di un pioppo
lamenta i figli perduti, che crudele aratore
tolse dal nido, ancora senza piume; e piange
più la notte, e ripete da un ramo il canto desolato,
e le valli riempie di melanconici richiami.
Nessun amore, nessuna lusinga di nozze,
persuase l’animo d’Orfeo. E andò per i ghiacci boreali
. per il Tànai nevoso e le terre dei Rifei
sempre coperte di gelo, lamentando Euridice
e l’inutile dono di Dite. E le donne dei Ciconi,
sdegnate per l’amore respinto,
nelle orge notturne, durante i riti di Bacco,
dispersero per i campi le sue membra dilaniate.
Anche quando il capo, staccato dal candido collo,
l’Ebro Eagrio portava travolgendolo nei gorghi,
la voce, e la lingua ormai gelida: “Euridice”,
chiamava mentre l’anima fuggiva: “O misera Euridice”
. “Euridice”, ripetevano le rive lungo il fiume. »

Il mito di Orfeo nell’interpretazione di Blanchot

La fondazione esistenziale nell’analisi strutturale
 Senso o non senso della scrittura? (Blanchot, Barthes).
 
A cogliere la differenza fra lo strutturalismo ‘ontologico’ e quello che proponiamo di chiamare ‘esistenzialle’, è particolarmente adatta l’opera di Maurice Blanchot…………………………….. ……………………………………………………………………………………………………….
Per Blanchot, la struttura è certamente un “essere”, ma né alla maniera metafisica, né in quella di Levi-Strauss (come cioè un’entità che viene alla luce attraverso un lavoro di `laboratorio’), bensì come un fenomeno di esistenza del soggetto, per il quale l’opera ha un senso soltanto quando comincia ad “essere’” per un soggetto che la sperimenta sul piano della vita o nello scriverla o nel leggerla: “Lo scrittore scrive un libro, ma il libro non è ancora l’opera, l’opera non è tale se non quando in essa, nella violenza di un convincimento che le è proprio, si pronuncia la parola “essere”: evento che si compie quando l’opera è l’intimità di qualcuno che la scrive e di qualcuno che la legge”.
In questa ricerca dell’Essere, al di là dell’apparenza fenomenica, in questa apertura dell’opera all’Essere e quindi in questa comunione tra chi scrive e chi legge, nell’intimità dell’opera, riecheggia la filosofia esistenzialistica di Heidegger, fondata sull’idea del primato di quell’Essere che è presente nell’esistenza dell’uomo. “L’essere” afferma Heidegger – è senz’altro presupposto da tutte le ontologie finora esistite: ma non- criterio disponbile, bensì come di ciò di cui si va alla ricerca”.  E questa ricerca dell’essere è propria di Blanchot: l’essere è quel qualcosa, quel concetto, e quindi quella struttura che fa sì che l’opera, nel suo divenire tale, cerchi se stessa.
A questo proposito si può ricordare che Heidegger precisava che non è sufficiente, per spiegare il mondo, il trovarne l’essere, ma che è necessario trovare il `senso’dell’Essere……Ogni artista per Blanchot è un Orfeo che discende negli oscuri meandri dell’essere verso Euridice, che è “ per lui, l’estremo dell’arte che possa raggiungere”, è il senso dell’Essere…………………L’ontologia per Blanchot è quindi una continua ricerca dell’essere. “Il mito dimostra –egli scrive ancora –ugualmente che il destino di Orfeo è anche di sottomettersi a questa legge ultima; e certamente , volgendosi verso Euridice, Orfeo distrugge l’opera, l’opera si disfa, ed Euridice ritorna nell’ombra”.  Il guardare Euridice è l’ispirazione, è cioè il momento in cui lo scrittore antistrutturalistícamente dimentica l’opera, per richiamarsi a qualcosa che la supera ; e la comprende, cioè all’Arte, all’Essere; in quello stesso momento “1’opera è perduta”, ma in quello sguardo essa riesce a “superarsi”, ad “unirsí” alla sua origine e consacrarsi nell’impossibilità”. Lo sguardo quindi è l’ultimo dono di ogni artista alla sua opera, ma è anche il momento solenne in cui la sacrifica. Lo sguardo può così davvero paragonarsi alla heideggerianaricerca del senso dell’essere che non può non essere il compito fondamentale dell’artista, anche in questa sua rinuncia all’opera. “Scrivere – dice Blanchot – comincia con lo sguardo di Orfeo… Ma per arrivare a questo istante, Orfeo ha avuto bisogno della potenza dell’arte”. ‘ L’opera di per sé è muta. Nel momento in cui l’artista si rivolge verso l’Essere, l’ìncantesimo si compie; l’ispirazione è la negazione dell’opera in sé e per sé, ma l’opera sollecita l’ispirazione, il legame cioè con la “struttura ontologica dell’esistenza” ……………………………………………………………………………………….Ci sembra esatta l’affermazione di Perlini “Blanchot si muove in un cerchio, affascinato come la farfalla intorno al fuoco della candela, attratto irresistibilmente dal volto meduseo della filosofia heideggeriana ed in questo senso si pone “ al di là dell’ambito razionalistico entro cui andrebbero circoscritte le recenti esperienze della cosiddetta nouvelle critique”
Soprattutto tra Blanchot e gli strutturalísti c’è di mezzo, come abbiamo visto, Heidegger e l’esigenza di filtrare ì temi dello strutturalismo attraverso la problematica esistenzialista. L’imbarazzo della critica sembra così riprodurre il circolo chiuso della teoria stessa di Blanchot ed è un cerchio fatato in cui finisce con l’essere coinvolto anche il lettore. Blanchot, cioè, si scaglia contro la lettura “banale”; questo tipo di lettura fa del libro, cioè dell’opera modellata dagli uomini, quello che il mare e il vento fanno della pietra: la rendono più liscia: “il frammento caduto dal cielo, senza passato, senza avvenire, sul quale non ci poniamo domande quando lo vogliamo”.” Ma se questo per Blanchot è possibile per il ” libro non letterario” (che è il libro scritto per essere letto così), non lo è per il libro che “ha origine nell’arte”; questo libro non è un significante di una rete di significati, non ha quindi, né può avere una sua struttura-modello, ma è un non-senso, nella misura in cui “non ha la sua garanzia nel mondo, e quando viene letto non è stato mai letto, pervenendo alla sua presenza di opera soltanto nello spazi aperto da una lettura unica che ogni volta è la prima e la sola”.  In termini heideggeriani, il libro non può quindi avere una struttura né ontica’ (cioè di ciò che è alla maniera delle cose), né metodologica, ma sola una struttura ontologica (cioè di ciò che é alla maniera dell’esistenza) e quindi esistenziale dell’essere: “Ogni ontologia, per quanto disponga di un sistema di categorie ricco e ben connesso, rimane, in fondo, cieca e falsante rispetto al suo `intento’ più proprio, se non ha in primo luogo sufficientemente chiarito il senso dell’essere e se non ha concepito questa chiarificazione come il suo compito fondamentale”.’ Anche Blanchot non si accontenta di rintracciare la struttura come essere, bensì ritiene necessario trovare il senso di essa: per Heidegger il senso dell’essere è un concetto essenzialmente etico (la Cura), per Blanchot il senso dell’essere è l’arte. Ogni artista per Blanchot è un Orfeo che discende negli oscuri meandri dell’essere, verso Euridice, che è “per lui, l’estremo che l’arte possa raggiungere”, è il senso dell’essere. Ma la sua opera non è un semplice  avvicinamento a questo `punto’ scendendo verso la profondità”, ma è una continua “apertura” (termine heideggeriano) dell’Essere: “La suaopera è di riportarlo [il `punto’] al giorno e di dargli, nel giorno, forma, figura e realtà”.  In questo modo Blanchot denuncia la crisi di quella che abbiamo chiamato la `ontologia senza essere’, e nel contempo la supera:Il  mito greco dice: si può produrre un’opera solo se l’esperienza smisurata della profondità non è perseguita per se stessa. La profondità non si consegna apertamente, e si rivela solo dissimulandosi nell’opera”. L’ontologia per Blanchot è quindi una continua ricerca dell’essere. Ma appunto in questo superameto dello strutturalismo ontologico per mezzo dell’esistenzialismo heideggeriano c’è anche il limite, forse più vistoso, dell’`esistenzialismo’ di Blanchot. “Il mito dimostra – egli scrive ancora – ugualmente che il destino d’Orfeo è anche di non sottomettersi a questa legge ‘ultima'; e, certamente, volgendosi verso Euridice, Orfeo distrugge l’opera, l’opera immediatamente si disfa, ed Euridice ritorna.”
Tratto da  G. Puglisi: Che cosa è lo strutturalismo- Ubaldini editore 1970 pp.63 sgg.

.
 
 
 
 

.
 
 

Elementi di scrittura

ELEMENTI DI SCRITTURA
RIASSUNTO- PARAFRASI- NUCLEI TEMATICI
Il processo di sintesi è fondamentale nel laboratorio di scrittura perché consente di trattare e pianificare informazioni. Possiamo riferirci al riassunto di un brano di prosa e/o di un racconto o romanzo, alla comprensione di una lirica (parafrasi), all’enunciazione dei nuclei tematici di un testo di storia, filosofia e/o di critica. Nella sintesi devono essere presenti gli aspetti e le caratteristiche fondanti attraverso i quali si snoda il discorso da produrre in forma scritta. Nell’esposizione si deve tenere conto della rilevanza delle informazioni acquisite e della loro successione in ordine logico-compositivo. Alla coerenza logica deve corrispondere la linearità espressiva e l’organizzazione d’idee e concetti in una sintassi corretta. Facendo ricorso altresì ad un appropriato uso dei connettivi la forma espressiva deve essere, oltre che corretta, semplice ed immediata.
TESTO ARGOMENTATIVO
Il testo argomentativo è per sua natura complesso in quanto comprende il concetto di problematizzazione. Il testo argomentativo, infatti, mira a dimostrare una tesi e deve essere sostenuto da validità di prove (materiale letterari, storici, critici di diversa tipologia etc……), riferibili all’oggetto della trattazione e selezionate con discernimento critico. L’uso di detti materiali, che diventano competenze conoscitive di chi scrive, devono essere riproposti nel tessuto espositivo con coerenza logica e con pertinenza di strumenti linguistici.
Nel testo argomentativo, infine, possiamo decifrare alcuni elementi fondamentali ed irrinunciabili: il punto di vista (focus), la tesi, gli argomenti, la contrargomentazione, la conclusione (coda), che deve rifarsi al punto di vista (focus), capo del corpus di scrittura.
È opportuno, prima della stesura definitiva, formalizzare una ragionata scaletta da seguire oculatamente nel processo scrittorio.
ARTICOLO
La parola articolo deriva dal latino articulum (nodo, giuntura, articolazione). Nel linguaggio giornalistico la parola assume il significato di parte di un giornale o di una rivista dedicata ad un argomento specifico. Possiamo distinguere tanti tipi di articoli: l’articolo di giornale (detto talvolta anche pezzo in quanto facente parte di un insieme complesso), l’articolo centrale, posto in prima pagina, ma che può continuare all’interno e che contiene il fatto del giorno e che viene altresì denominato articolo di fondo evidenziato in epigrafe dal titolo, dall’occhiello e dal sottotitolo. L’articolo, che assume il secondo posto per rilevanza informativa, si chiama articolo di spalla ed in genere viene collocato a destra. Gli articoli di cronaca possono avere varia tipologia (politica, giudiziaria, economica, sportiva).
In ogni manuale giornalistico per la scrittura di un articolo si rimanda alla legge delle cinque W (who, what, when, where, why) che in inglese traducono le cinque domande. chi, che cosa, quando, dove, perché?
Questa norma si segue in genere pedissequamente quando si tratta di stendere un trafiletto di poche righe, mentre per un articolo di carattere argomentativo l’estensore può servirsi di forme più complesse di scrittura. Qualunque sia la tipologia dell’articolo, tuttavia, si raccomanda l’essenzialità nell’uso dei mezzi linguistici congiuntamente ad una linearità sintattica.
È più congeniale, infatti, all’articolo la paratassi al posto dell’ipotassi. I periodi brevi, come pure la chiarezza del linguaggio, rendono più agevole ed invitante la lettura.
Preminente preoccupazione, invero, dell’autore di un articolo dovrà essere rivolta allo specifico pubblico, cui il testo scritto è demandato.
Ne consegue che i connotatori di un articolo di quotidiano si differenziano dalle peculiarità di quello inserito in una rivista specializzata indirizzata a soggetti lettori evoluti nelle competenze e nella decodificazione testuale.
  Il saggio breve
  Cercando nel dizionario Devoti-Oli la parola “saggio” troviamo questa definizione: Esposizione scritta che intende proporsi come il frutto dello studio e dell’approfondimento personale di un tema delimitato di carattere storico, biografico o critico con uno sviluppo massimo che può giungere sino alla monografia.
La puntuale definizione degli autori del noto vocabolario è rivolta nella fattispecie al saggio inteso in senso classico e che ha costituito le risultanze di ampie indagini critiche sviluppati da studiosi nello specifico delle loro aeree di competenze.
Fatta salva quest’accezione oggi dobbiamo considerare che anche nell’ambito scolastico ed in quello giornalistico si dà sempre maggiore spazio al concetto di saggio breve. Opportunamente annota Tullio De Mauro: Osserviamo che il significato di saggio (quello riportato dai vocabolari) è distinto da quello di saggio come prova per l’accertamento della qualità e della proprietà di qualcosa e anche assaggio, prova dimostrativa (dare saggio di sé e simili).
Lo studioso precisa, inoltre, che oggi per saggio ci riferiamo piuttosto all’etimo tardo-latino exagium “ peso”da collegare al verbo exigere “ pesare, esaminare”
In effetti, seguendo l’intepetrazione di De Mauro, possiamo affermare che il saggio, cui oggi è stato aggiunto l’aggettivo breve, nell’ottica didattica ed in quella di tipo giornalistica è un assaggio di un lavoro di dimensioni più ampie strumentale per valutare le abilità di discernimento di chi scrive su un argomento attraverso l’esame dei materiali, che ha a disposizione ovvero tramite la dimostrazione di una tesi personale, esposta con coerenza argomentativa.
Invero oggi, nella strategia di un’educazione alla scrittura, si privilegia nell’ambito dell’istruzione secondaria e persino nelle università la trattazione del saggio breve, che con riguardo alla vita accademica è per lo studente prepositiva alla stesura della tesi conclusiva di laurea.
Consideriamo, pertanto, il saggio breve prodromico a forme d’indagine più evolute e conseguentemente instrumentum irrunciabile per i processi scrittori, ma anche in questo caso non ne abbiamo definito compiutamente il concetto, in quanto al tempo odierno con saggio breve intendiamo anche qualcosa che, slegato dai vincoli accademici, si lega ai costumi, ai modi di vivere, agli aspetti valoriali della nostra società e all’esistenzialità dell’uomo contemporaneo.
L’autore in tal caso fa uso di una scrittura creativa, non vincolata da schematismi particolari, ed in genere alloca il suo scritto nelle colonne di un giornale d’alto livello. Lo testimonia Pier Paolo Pasolini, autore di appassionati saggi sul costume degli Italiani nel Corriere della Sera.
Tuttora il suo esempio è seguito dalle più illustri firme del giornalismo italiano ed europeo.
Nella storia europea il primo a trattare con sottile spirito critico, ma scevro da ogni accadessimo, temi filosofici, morali, della cultura del suo tempo è stato Michel de Montaigne, autore di una sua opera Essais (Saggi).
Pregresso quanti innanzi e, nel rispetto che ogni tipologia di saggio breve comporta nella sua fase ideativa ed in quella strutturale-compositiva, per esigenze didattiche puntualizziamo alcuni aspetti nodali del saggio breve e le sue fondamentali peculiarità.
La prima domanda che deve porsi l’estensore di un saggio breve è:
Dove e perché si scrive il saggio breve (rapporto mittente- destinatario)
Si tratta di una rivista specializzata?
Di un giornale a larga diffusione nazionale?
Di un giornale di provincia a diffusione locale?
Di una consegna proposta in sede di esame di maturità?
Di una consegna proposta nell’ambito di un’attività accademica e/o nel Laboratorio di scrittura italiana?
In tutti questi casi gli elementi costitutivi del saggio breve devono essere:
Puntualizzazione dell’argomento
Forma /modalità comunicativa (riferibile alla tipologia del saggio)
Spazio disponibile (assolutamente necessario per i giornali ovvero se indicato nella consegna del saggio sottoposto all’estensore del medesimo)
Tempo disponibile (viene indicato nella consegna)
Documentazione disponibile (nel campo giornalistico può essere sostituito da elementi pragmatici (derivanti dalla lettura dei fatti ovvero dall’argomentazioni talora correlate da controargomentazioni dell’autore.)
Ci pare opportuno adesso soffermarci sulla stesura del saggio breve, oggi in uso nelle scuole secondarie, ritenuto di grande rilevanza negli esami di maturità e riproposto nell’ambito accademico ed in particolare nel Laboratorio di scrittura italiana.
Precipua importanza si attribuisce ai fini della stesura del saggio breve alla selezione del materiale a disposizione. Nel caso occorrente allo studente maturando il materiale viene fornito al momento della consegna, in quello riguardante lo studente universitario ci si riferisce ad un percorso di studi e di approfondimenti svolti nell’ambito del corso seguito.
In entrambi i casi è assolutamente necessario cogliere con discernimento critico il fulcro tematico ed i nuclei ideativi-concettuali funzionali alla tesi da dimostrare.
Per una sintassi compositiva organica nasce l’esigenza della scaletta, che aiuta a decidere quali siano le informazioni indispensabili, quali quelle secondarie e/o controargomentative.
La scaletta, inoltre, è funzionale all’ordine logico-cronologico, che deve informare il testo in forma coesa, dall’introduzione alla conclusione.
Il testo, infatti, deve comprendere:
·        Introduzione (esposizione del problema di cui trattasi)
·        La sua storia (il suo significato, il focus problematico)
·        Dove ? Quando? ( Rapporto Tempo- Spazio in senso storico)
·        Come? ( le modalità e le strategie critiche adottate per la dimostrazione della tesi proposta)
·        Esemplificazione (exempla dedotti da materiali critici o da loci testuali pertinenti)
·        Introduzione di un giudizio personale.
·        Ricorso ai materiali già utilizzati a sostegno della propria tesi precorrenti la conclusione
·        Conclusione -deve rifarsi allintroduzione con riguardo a:
·        Alla collocazione nel tempo storico (id temporis)
·        Alla dimensione storica metatemporale (messaggio) hic et nunc.
I registri linguistici, che si consigliano sempre chiari e lineari, devono essere correlati alla res argomentativa, che, qualora lo richieda, deve avvalersi di codici e sottocodici linguistici specifici
Il testo alla fine dovrà presentarsi
·        Coerente con la traccia
·        Coeso al suo interno e logicamente ordinato
·        Completo dal punto di vista dellargomentazione
·        Formalmente corretto
·        Adeguato dal punto di vista lessicale allargomento trattato.
La trattazione di un saggio breve, anche deve rispettare in linea di massima le norme suesposte, può avere nel suo sviluppo, anche per la variegata tipologia dell’argomento, una sua flessibilità e pluralità di modi espressivo-compositivi. Si parla, pertanto, di uno schema, cosiddetto flessibile, che si affianca allo schema rigido praticato in particolar modo nel mondo giornalistico. Ed è appunto, per chi voglia affacciarsi a questa dimensione comunicazionale, che riteniamo producente sottoppore tale tipologia, che si esplica nei termini che ci apprestiamo a chiarire e che ci conducono a questa intitolazione: il saggio breve in cinque capoversi.
Al fine di illustrare questo principio chiariamo che il saggio breve in cinque capoversi è un testo informativo/argomentativo a struttura rigida che può essere impiegato quale modello per testi più complessi. Nella sua forma tipica è costituito da cinque segmenti (capoversi) unitari dal punto linguistico,contenutistico, collegati tra loro da frasi-transizione e raccolti in tre sezioni: introduzione, corpo del testo e conclusione. Mentre l’introduzione e la conclusione sono costituite da un capoverso ciascuna, il corpo del testo ne raccoglie tre.
L’introduzione ha il compito fondamentale di presentare l’argomento, oggetto di trattazione, di chiarire quale sia il fine comunicativo dello scrivente e di anticipare la struttura del testo; i tre capoversi del corpo hanno il compito di sviluppare l’argomento in maniera conforme a quanto anticipato nell’introduzione , mentre la conclusione risponde al fine di riepilogare le conclusioni svolte nel corpo del testo.
Lo schema è il seguente:
Introduzione (1 solo capoverso)
Corpo del testo (3 capoversi)
Conclusione (1 capoverso)
L’introduzione

L’introduzione risponde a più scopi, tra i quali quelli fondamentali sono:
·        quello di introdurre il lettore nel testo, stimolandone lattenzione
·        quello di indicare largomento di cui si parla
·        quello di chiarire, nel caso di un testo argomentativo, quale sia lopinione sostenuta
·        quello di fornire unessenzialissima esposizione del testo (blueprint)
·        quello di introdurre i paragrafi successivi magari con una frase di transizione.
Il capoverso introduttivo si articola pertanto secondo questo schema.
Introduzione, tesa ad interessare il lettore
Presentazione dell’argomento
Presentazione del fine comunicativo
Esposizione della tesi
Presentazione schematica della struttura del testo
Aggancio ai paragrafi successivi.
 
Il corpo del testo
Il corpo del testo si articola, come abbiamo detto, in tre capoversi. Ogni capoverso, che costituisce l’unità informativo-testuale di base nel saggio breve, ha di norma la
medesima struttura :
Una frase-chiave (topic sentence) che costituisce il nucleo informativo-argomentativo del testo e che spesso ne anticipa il messaggio (primo capoverso)
Più frasi in cui si forniscono al lettore informazioni, argomentazioni, controargomentazioni, a supporto della tesi enunciata. Ci troviamo al momento in cui la res argomentativa si sviluppa e prende forma e peso il textus. Di conseguenza per un processo scrittorio esauriente occorre strutturare in forma coesa due capoversi. In effetti abbiamo dato vita al corpo del testo e dobbiamo volgerci alla conclusione. E’ opportuno,allora, che alla fine del terzo capoverso si enunci una frase di transizione che conduce con coerenza logica alla conclusione.
 
La conclusione
In un testo informativo/argomentativo la conclusione include in genere:.
a) una ripresa dell’enunciato, con il quale si presentava l’oggetto del discorso
b) una ripresa dell’enunciato, con il quale si presentava l’oggetto del discorso
c) una ripresa delle informazioni, argomentazioni, controargomentazioni, prove dedotte da materiali di studio e/o da fonti pragmatiche.
d)  una ripresa delle informazioni, argomentazioni, controargomentazioni, prove dedotte da materiali di studio e/o da fonti pragmatiche.
La recensione
  Cercando la parola recensione nel Dizionario Devoto-Oli leggiamo: 1.Articolo di giornale o di rivista, inteso a illustrare e a giudicare criticamente uno scritto o uno spettacolo, una mostra, un concerto recente e di attualità. 2. In filologia la restituzione di un testo alla lezione, che si presume esatta attraverso la tradizione scritta .
Le sue accezioni sono completamente diverse, ma per proseguire il nostro discorso all’interno del Laboratorio di scrittura italiana dobbiamo prendere in considerazione soltanto il primo significato del termine.
La parola recensione deriva dal latino recensio-recensionis, dal verbo recensere “esaminare”.
La recensione ha tipologia analoga a quella dell’articolo e serve ad illustrare e criticare un testo e/o un evento.
L’estensore di una recensione, nel momento di produrla, deve tener presenti queste componenti
a)      dove e per chi si scrive la recensione
b)      il soggetto da recensire (il focus del testo)
c)      quali sono le caratteristiche interne, testuali, dell’argomento da recensire
d)      in quale contenitore editoriale (quotidiano, riviste, tv) deve essere inserita la recensione
e)      a quale pubblico si rivolge.
Le strategie di scrittura della recensione assumono tre diversificate denominazioni:
  1.      testo descrittivo
2.      testo espositivo
3.      testo argomentativo
Nel testo descrittivo vengono rappresentate le caratteristiche esterne di un romanzo, di un film e/o di un prodotto / evento senza proporre un giudizio personale o interpretativo.
Nel testo espositivo l’autore indulge a trattare le caratteristiche interne dell’opera (ad esempio, nel caso di un romanzo puntualizzerà i tratti salienti della trama, nel caso di un film le sequenze più significative, i fondamentali aspetti scenografici, la rappresentatività delle azioni nelle rappresentazioni teatrali e così via).
La stesura di un testo argomentativo,invece, oltre ad una precisa esposizione di dati/ eventi relati al testo e/o evento deve comprendere un giudizio critico coerente alle sequenze espositive.
È d’uopo precisare che in ogni caso all’inizio di ogni recensione bisogna includere i dati materiali, che consentono l’identificazione del testo e/o dell’evento con estrema precisione. ( per es. nel caso di un libro si deve indicare. autore, titolo, editore, anno di pubblicazione, prezzo).
Per quanto attiene alla parte espositiva occorre che l’autore curi l’aspetto riassuntivo dell’argomento trattato colle stesse modalità indicate ed infra contestualizzate nel paragrafo : Riassunto-Parafrasi- Nuclei Tematici.
Se l’autore, infine, intende dare alla recensione anche un contenuto critico, con connotazione argomentativa, bisogna perseguire le stesse norme intrinseche al testo argomentativo ed al saggio breve, intercalando nelle singole unità narrative valutazioni ermeneutiche, che preparano il giudizio finale e che, come nel caso delle altre tipologie testuali, deve essere strutturato in forma coesa negli itinerari discorsivi dall’inizio alla conclusione.

 
 
 

Educazione letteraria

                                                                                                                                                          EDUCAZIONE LETTERARIA                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           Lineamenti di programmazione didattica del corso di lezioni per l’insegnamento “Educazione Letteraria”-indirizzo: Linguistico-letterario  Classe  A.D. 43 a 50 a- Corso speciale D.M. n°21 del 09/02/2005-legge 143-Università agli Studi di Palermo- Facoltà di Lettere e Filosofia-  S.I. S..S..I..S  Anno accademico 2005/2006 

Docente: Prof.Salvatore Coico

 Approccio con il testo.

Il processo ermeneutico oggi esige un atteggiamento di cooperazione critica, attraverso il quale, seguendo la lezione di R. Barthes il lettore non legge, ma interroga il testo. Si tratta di una strategia euristica atta a comprendere il valore polisemico del testo letterario.Il testo, come il suo etimo ci suggerisce è un tessuto, un insieme di segni e nel caso di testo scritto un intreccio di parole.Ogni testo è l’espressione di una determinata realtà storico-sociale, ma talora il suo contenuto trascende dal contingente per assumere valori metastorici ed universali. La cultura, infatti, come afferma il. Lotman (J.M. Lotman-Tipologia della cultura-Milano- Bonpianii-1975-pag. 28) non è un semplice deposito d’informazioni, ma “è un meccanismo organizzato estremamente complesso, che conserva l’informazione, elaborando continuamente a tale scopo i processi più vantaggiosi e compatti, ne riceve di nuovi, codifica e decodifica i messaggi, li traduce da un sistema segnico ad un altro.”Un testo è sì un documento, ma può essere considerato anche un monumento per il suo alto valore categoriale e metatemporale.

Il testo e la comunicazione

 Il testo è un insieme di segni. Rifacendoci alle primigenie nozioni di linguistica introdotte da F. de Saussure (1857-18139) possiamo affermare che un segno è l’associazione di un significante e di un significato, intendendo con significato l’”immagine mentale “ e con significante “l’immagine acustica”. Sempre. secondo Saussure, la lingua è un insieme di segni. La langue per lo studioso ginevrino è l’insieme dei segni, che servono come comprensione tra i membri di una stessa comunità linguistica, mentre la parole è l’uso che ciascun membro di tale comunità linguistica fa per farsi comprendere e rappresenta l’atto individuale e concreto dei soggetti, che si servono di quel sistema in una situazione determinata.E’ chiaro che Saussure dà una rilevanza maggiore alla langue, che assume la valenza d’istituzione storico-sociale rispetto alla parole. Sull’argomento esplicito è il chiarimento espresso dallo stesso studioso, che in “Journal de psicologie” 1952 pp-137 così si esprime “ Lo studio della lingua comporta due parti: l’una essenziale, ha per oggetto la lingua, che nella sua essenza è sociale e indipendente dall’individuo, l’altra individuale del linguaggio, vale a dire la parole, ivi compresa in essa la fonazione; essa è psicofisica. Langue e parole rimangono due componenti assolutamente distinti per S; dovremo attendere gli studi più recenti in campo della linguistica e delle teorie letterarie per superare questa dicotomia.  

E’ chiaro che Saussure dà una rilevanza maggiore alla langue, che assume la valenza d’istituzione storico-sociale rispetto alla parole. Sull’argomento esplicito è il chiarimento espresso dallo stesso studioso, che in “Journal de psicologie” 1952 pp-137 così si esprime “ Lo studio della lingua comporta due parti: l’una essenziale, ha per oggetto la lingua, che nella sua essenza è sociale e indipendente dall’individuo, l’altra individuale del linguaggio, vale a dire la parole, ivi compresa in essa la fonazione; essa è psicofisica. Langue e parole rimangono due componenti assolutamente distinti per S; dovremo attendere gli studi più recenti in campo della linguistica e delle teorie letterarie per superare questa dicotomia.  

 La lingua, come peraltro il testo letterario, viene studiata attraverso il processo sincronico (simultaneità temporale) e attraverso il processo diacronico (attraverso il tempo).

 

 Un’altra utile distinzione è quello tra significato denotativo e significato connotativo.

Denotazione è il valore informativo di una parola indicato dal vocabolario, connotazione è il surplus di senso che la parola acquista e può avere un referente allusivo, affettivo, evocativo, simbolico, storico, ideologico. d

Dalla linguistica alle teorie letterarie

Gli studi linguistici influenzano ampiamente le teorie letterarie dando l’avvio alla critica strutturalistica. Ma che cos’è lo strutturalismo? Come suggerisce lo stesso etimo dal latino “struere” ordinare gli strutturalisti intendono dare una certa organicità unitaria a tutti gli elementi costitutivi dell’opera letteraria.

Come afferma Jean Starobinski lo strutturalismo non è, come il marxismo, una visione del mondo, né fonda, come la psicanalisi, la sua tecnica interpretativa su nozioni invariabili. Nell’approccio con l’opera d’arte, analizzata come un insieme di strutture, di cui sono pregnanti quelle linguistico-formali, il critico strutturalista non solo la legge, ma l’indaga, l’interroga.

Le modalità seguite dalla corrente possono essere individuate in tre forme di tipologie

1)      linguistico-comunucativo

2)      semiologico

3)      formale

 .Per quanto attiene al metodo linguistico-comunicativo il più noto è quello di Sklovkij, che si basa sul principio dello “straniamento”. Con “straniamento” noi intendiamo la traduzione più comune di ostranenie (letteralmente rendere strano, un altro prezioso termine coniato dai formalisti. russi. In un suo saggio pubblicato nel 1917 Victor Sklovskij sostiene che scopo essenziale dell’arte è superare gli effetti causati dall’abitudine, mediante la rappresentazione di cose familiari in modi non familiari.

Il che non può avvenire se non con la sublimazione della parola; ed è proprio il linguaggio, infatti, che rende l’immagine artistica originale, imprevedibile.

L’arte conseguentemente, come affermerà Mukarovsky, in (La funzione, la forma esteticaEinaudi 1971) si realizza per la funzione estetica, che attualizza il valore del segno che viene recepito dal lettore.

Nell’uso del linguaggio l’autore, secondo i formalisti russi, opera uno scarto della parola, che diventa il nucleo fondante della sua poetica.

Nella poesia lo scarto della parola può diventare un ipersegno e quindi assumere il valore categoriale di dominante del testo poetico.

Lo studio del linguaggio e delle relative teorie letterarie trovano il loro sbocco naturale nella sfera della comunicazione..

Jakobson opera mirabilmente quest’interrelazione tra testo letterario e teoria della comunicazione individuando l’interazione attraverso queste componenti

a) contesto b)mittente c) messaggio d) destinatario e) codice a cui corrispondono sei diverse funzioni linguistiche:

1) referenziale 2) emotiva 3) poetica 4) conativa 5) fatica 6) metalinguistica.

L’attenzione che Jakobson pone alla funzione poetica è senz’altro ereditato dal principio dello”straniamento”

Lo studioso, nel formulare le sue congetture critiche, ci offre un sistema alquanto organico e coerente per leggere un testo letterario e per interpretarlo come un sistema di segni, rapportati non solo alla lingua, ma a diversi codici e sottocodici storico-culturali.

Ed adesso occupiamoci del secondo metodo della critica strutturalistica: quello semiologico.

Quest’ultimo considera l’arte come un insieme di segni e si rivolge soprattutto all’analisi del racconto tendendo ad enucleare “in varianti tematiche o “funzioni” ricorrenti nei miti, nelle favole o nella caratterizzazione e nelle vicende dei personaggi che espletano determinate funzioni nell’ambito degli stessi temi.

Si ricordi a proposito Propp. (Morfologia della fiaba Einaudi 1966)

Infine con la critica linguistico-formale gli studiosi si propongono di coordinare in una forma sistemica tutte le componenti che sottendono l’opera d’arte.

Ma per una comprensione più precisa di questa tecnica interpretativa lasciamo parlare il critico Avalle, che in Italia è il principale teorico di questa tendenza

“l’arte nella misura in cui esce dall’informe non è un aggregato casuale di unità disparate, ma comporta un principio di organizzazione e la presenza di elementi letterari.Ora se l’opera d’arte è intesa come tale solo nella misura in cui è possibile dare un nome a questi elementi, compito del critico sarà di individuare quanto ne determina il significato dal punto di vista punto di vista funzionale ad a esclusione di tutto ciò che vale unicamente sul piano dell’organizzazione esterna come la divisione e l’ordine delle parti (capitoli iniziali, l’impiego eventuale di figure retoriche etc).” (D.S. Avalle Corso di semiologia dei testi letterari, Torino, Giapichelli, 1972)

Lo stesso Avalle con l’analisi della lirica di E. Montale “Gli orecchini” ci offre un esempio mirabile di saggio critico fondato sui criteri della critica linguistico-formale..L’AUTORE E IL LETTORE

Autore reale- Autore implicito-

  Narratore- Narratio- Lettore implicito- Lettore reale

 L’autore reale è lo scrittore esterno al testo letterario nel quale comunque proietta una propria immagine letteraria, ma diventa autore implicito nel momento in cui detiene il senso profondo e la costruzione del testo.

All’autore implicito corrisponde il lettore implicito che è il lettore ideale che si prefigura l’autore al momento della sua creazione letteraria.

Ed è proprio in rapporto al lettore implicito che l’autore stipula un patto di lettura (convenzioni, regole per realizzazione dell’efficacia della comunicazione).

Secondo la critica recente anche l’intertestualità è compresa nel patto di lettura: la citazione esplicita o diretta, il riferimento ad altri testi sono una sfida al lettore chiamato a completare il senso con opportuni riferimenti.

Si considera che il lettore inizia con due operazioni pragmatiche il dizionario: (l’insieme di conoscenze linguistiche) ed una sua propria enciclopedia (l’insieme delle conoscenze di cui dispone per interpretare la realtà).

Tra il proprio modo di conoscere la realtà e le proprie competenze linguistiche l’autore proietta il lettore in un orizzonte di attesa che avrà il suo coerente svolgimento nell’ermeneutica del testo stesso.

Il lettore è tenuto a salvaguardare l’integrità del testo con correttezza filologica, ma al contempo ad accrescerlo con una sua originale attività interpretativa.

 Il sistema letterario.

 Non possiamo parlare di sistema senza tentare di chiarire il concetto dello “specifico letterario” e di enunciare quelle che riteniamo essere al momento le metodologie critiche più valide per indagare sul variegato mondo della letterarietà.

.Sull’argomento riferiamo quanto ci dice Asor Rosa in “Letteratura, testo, società Aa. Vv. vol.1-Torino 19822”.

“ Se la letteratura verrà considerata come un prodotto sociale, noi cercheremo in essa il predomino della rappresentazione (fedeltà, tipicità, aderenza, verosimiglianza rispetto ad un determinato contesto sociale).  Se la penseremo come prodotto della storia delle idee, in essa ci sembrerà prevalente il meccanicismo in base al quale l’organizzazione formale di una data ideologia produrrà (o dovrà produrre) strutture coerenti con la Welthascauung dell’autore. Il convincimento che l’approccio con il testo è regolato sempre da alcuni meccanismi del piacere, ci spingerà a motivare il nostro giudizio più o meno positivo sul testo in base alla formula edonistica, cui ci ispiriamo. Se il meccanicismo basilare della conoscenza ci sembrerà di natura psicologica, cercheremo di ricondurre l’interpretazione dei personaggi e delle azioni alle leggi generali della psiche umana, cui la letteratura non può sottrarsi; analogamente faremo quando la struttura di base del linguaggio verrà fatta affondare nell’inconscio o nelle determinazioni che ad esso sono proprie. Chi, invece, nell’opera privilegerà il riferimento a certe componenti dominanti nell’ambito umano-intelllettuale circostante, darà di quell’opera una lettura antropologica. Un’opera, però, può essere intesa essenzialmente come sistema stilistico: la dinamica delle forme finirà in questo caso per influenzare tutto il resto, perché niente di psicologico né di subconscio, potrà penetrare, senza essere filtrato, purgato e sostenuto secondo il principio decisivo della coerenza stilistica.”L’ampio quadro delle metodologie critiche tracciato da Asor Rosa ci induce a riflettere sulla problematicità della comunicazione letteraria e sulle molteplici spirali di interpretazioni critiche che oggi si offrono al lettore.Il critico accentua l’attenzione sulla funzione propria dell’opera letteraria in rapporto alla lettura-rivisitazione che ne fa il lettore, che privilegerà l’una o l’altra forma di indagine interpretativa o nei termini che il testo stesso suggerisce e/o nelle forme congeniali alle proprie competenze ovvero nelle abilità (che talora possono anche sottendere un preciso intento individuale e personale) di decifrare il testo. La varietà delle interpretazioni enunciate da Asor Rosa da quella marxista a quella antropologico-sociale, da quella psicoanalitica a quella stilistica, inoltre, ci rivela come il dibattito culturale concernente le teorie letterarie è a tutt’oggi ancora aperto e di non facile soluzione. Non sembra, infatti, che lo stesso Asor Rosa intenda porre una netta demarcazione tra i vari indirizzi critici.Nel contesto delle sue parole, infatti, il critico sembra indulgere a considerare simmetricamente la diversità dei moduli ermeneutici in riferimento alla testualità ed alla scelta operata dal lettore.Il che ci fa riflettere sulla complessità e sulla dialettizzzazione della comunicazione letteraria nel mondo contemporaneo.Complessità e dialettizzazione dell’opera letteraria, oggi, inoltre, rientrano nella più ampia sfera della concezione del mondo, teorizzata dalla filosofia novecentesca di tipo probabilistica (Heidegger) e che germina anche nel campo estetico diversificati significati e problematiche..E’ chiaro che, crollate tutte le certezze, che un impianto filosofico di tipo idealistico avevaposto come momento fondante e conoscitivo dell’universo, anche la scrittura, che si identifica con la vita stessa dell’uomo e con la sua Welthascauung, doveva mutare per rispondere alle istanze del lettore che vive in uno spazio ed in tempo del tutto diversi e determinatiLa scrittura oggi, pertanto, non può che avere un carattere polimorfo in quanto deve registrare tutte quante le voci del mondo in cui l’uomo vive e riproporre, come osserva Gramsci, “tutto quanto il reale nei modi propri dell’arte”.Sarà poi compito del lettore individuare nella pagina scritta il senso ed il polisenso nella struttura unitaria del testo letterario.Senso del testo letterario inteso come profondità di significato, che sta alla base del testo letterario, e polisenso, inteso come pluralità di significati al testo stesso afferenti, concorrono parallelamente alla comprensione unitaria dell’opera e del messaggio che l’autore ci trasmette.Nell’ambito degli studi critici concernente il sistema letterario non possiamo dimenticare quello di M. Pagnini anche perché ci offre una visione alquanto ampia ed articolata sull’argomento. In “ Pragmatica della letteratura-Palermo-Sellerio 1980” l’autore tenta una classificazione dello statuto letterario che può essere enunciato in norme generali sottoelencate in 12 momenti diversi come ci riferisce il Marchese (A. Marchese- Il testo letterario-op.cit. pp.40-41)1)      letteratura come imitazione degli stati del mondo (si pensi alla teoria marxista del “rispecchiamento” della situazione sociale.).

2)      letteratura come fantasia (opposta alla prima)

3)      letteratura come “scarto linguistico” (ad esempio la teoria dello “straniamento” dei formalisti russi.).

4)      letteratura come concentrazione di sistemi storico-sociali vigenti (vedi le poetiche di avanguardia)

5)      letteratura come complessità (polisemia dell’opera variamente interpretabile)

6)      letteratura come unità strutturale

7)      letteratura come sopravvivenza epocale (l’opera è grande se capace di rispondere alle domande postele dalle varie epoche in cui è recepita)

8)      letteratura come poetica del senso (le poetiche del Classicismo)

9)      letteratura come imitazione dei classici

10)   letteratura come opacità (la poetica del Simbolismo)

11)  letteratura come sentimento

12)   letteratura come impegno politico e via dicendo.

E’ senz’altro apprezzabile il tentativo del Pagnini nel voler catalogare il sistema letterario in vari momenti riferibili alle varie tappe delle categorie dello spirito e della storia nell’ambito della comunicazione letteraria, ma anche in questo caso non ci sembra che il concetto di letteratura assuma una sua specificità ideologico-culturale e conseguentemente anche nell’ambito dell’ermeneutica siamo lontani da una convincente impostazione metodologica unitaria.

Invero sia con Asor Rosa sia con Pagnini permane l’aporia circa la definizione stessa di “letterarietà” e sulla valenza delle tecnologie da adoperare nell’ambito critico.

Ancora una volta, allora, il discorso letterario rimanda alle teorie filosofico-estetiche del nostro tempo, che sembrano, però, lasciare insoluti molti quesiti.

Premesse queste considerazioni di ordine generale adesso ci pare opportuno enunciare alcuni aspetti costitutivi o generanti del testo letterario, certi come siamo e, come abbiamo avuto modo di osservare, che nel medesimo coesiste una fitta trama di interrelazioni storico-letterarie e di componenti storico-sociali rapportate altresì nell’ambito umano-esistenziale.A dare vita e corpo a tutte queste forme di invenzione artistica e nello stesso tempo di rappresentazione necessita che il testo abbia delle strutture formali strumentali alla scrittura ed al messaggio che intende comunicare.

Le modalità strutturali fondamentali costitutive del testo sono:

1)      intertestualiatà (trama di rapporti fra il testo e il sistema dell’autore o fra il testo e determinati modelli letterari.)

2)      extratesto (rapporti storico-culturali, codici letterari non esplicitati nel testo, ma in funzione dei quali il testo assume uno specifico significato o una specifica funzione.)

3)      intratestualità (realtà interna al testo- riproposizione di temi ricorrenti legati all’autore o dal medesimo riferiti).

Nell’ambito del sistema letterario trovano inoltre cittadinanza i generi letterari..

Generi letterari

 I generi letterari, oggi messi in discussione dalle moderne tendenze, hanno una loro precisa collocazione nella tradizione letteraria.

L’antichità classica si rifaceva alla varietà degli stili ponendoli in relazione a motivazioni di ordine ideologico-estetico e contenutistico.

La lirica, l’epigramma, l’idillio erano considerati come espressione dell’“io”individuale ed assumevano una valenza inferiore rispetto all’epos o alla tragedia che avevano un carattere corale e che trasferivano nell’opera il momento più alto delle concezioni mitico-religiose del tempo esaltando peraltro il pathos del personaggio, che veniva elevato a paradigma ideale.

Diversa era, inoltre, la tragedia rispetto alla commedia, che appunto perché era nata nella kome, (in greco provincia-regione da contrapporre al concetto di polis) e, quindi, in un habitat antropologico più ristretto impersonava caratteri e personaggio del quotidiano ed aveva talora un carattere di satira e di parodia.

Su questa concezione Dante fonda la concezione dei tre stili: sublime, comico, umile, riferendosi per l’appunto alla tragedia, alla commedia, all’elegia.

Anche se alla luce della critica contemporanea questa distinzione ha perduto i crismi dell’autenticità è da notare che oggi i generi letterari sono particolarmente oggetto di studio soprattutto nella prospettica dei codici linguistico-formali e nell’indagine dello svolgimento della storia della lingua letteraria.

Scrive a proposito M. Corti “M. Corti I generi letterari in prospettiva semiologia in “Strumenti critici” I, 1972-p. 9 ) “ Se la letteratura è passibile di essere indagata come interazione di istituti letterari, essa è anche da un lato un deposito di tematiche, dall’altro il canale collettore delle varie soluzioni formali che costituiscono la lingua letteraria. Per quanto sia dimostrabile che ogni genere ha avuto il suo tipo di “scrittura” impostato che fosse sulla linea del monolinguismo o del plurilinguismo, tuttavia si è sempre verificato che esso facesse i conti con le generali strutture retoriche della lingua letteraria che, in un paese, come l’Italia, è stata sino al nostro secolo il sostituto dell’inesistente langue”.

In quest’ottica lo studio intorno ai generi letterari ci dà la possibilità di leggere quest’ultimi oltre che sotto il profilo meramente linguistico anche in chiave antropologico-sociale.

 Le mutazioni del linguaggio rapportate a diversificate stratigrafie sociali in differenti contesti letterari diventa, allora, per lo studioso di letteratura un mezzo di conoscenza inalienabile anche per scoprire quel “campo di tensioni” che è presente all’interno di ogni istituto letterario.

Il testo poetico.

 Nel ‘900 si è animato il discorso sulla poesia. Ci sembra opportuno per meglio comprenderne le problematiche di dare la voce ai nostri poeti più rappresentativi.

S. Quasimodo nel Discorso sulla poesia, che apparve per la prima volta come Appendice a “Il falso e vero verde”, (Mondatori 1956) mostra di apprezzare la tesi di Anceschi e rivela un certo entusiasmo per il filosofo, che con metodo filologico, cerca di indagare sulle origini del linguaggio poetico di oggi e sulla sua forma assoluta, universale.

Anceschi ha inoltre precisato che la poesia contemporanea accoglie una molteplicità di temi e di significati, che le permette di vivere in un sistema non chiuso e di slargarsi in un orizzonte aperto nelle mobilità delle relazioni in diversi piani ed ordini.

La poesia, sempre per il critico, proprio nel ‘900 si libera dagli schemi rigidi, in cui la tradizione l’aveva imbrigliata, per “vivere un interrotto variare di rapporti nuovi, imprevedibili”

L’esigenza di vivere un rapporto nuovo con gli uomini e le cose, attraverso la numinazione della parola poetica, è fortemente sentita da S.Quasimodo, che nel testo citato così dice: “La storia delle “forme” come “storia della parola” non si esaurisce, poi anche quando fosse compiuta la storia dei poeti…………..Il poeta è un uomo che si aggiunge agli altri uomini nel campo della cultura, ed è importante per il suo “contenuto” (ecco la grave parola), oltre che per la sua voce, la cadenza di voce……………….La poesia è l’uomo…………………..La ricerca di un nuovo linguaggio coincide questa volta con la ricerca impetuosa dell’uomo.in sostanza, la ricostruzione dell’uomo frodato dalla guerra”.

Le parole del poeta siciliano ci fanno meditare sul valore della parola poetica nonché sull’impegno etico intrinseco alla stessa poesia.

La parola poetica, allora, pur nella sua assolutezza può diventare, come nota Hartman (Saving the test 1861) ferita (poesia-denuncia) o balsamo (poesia-consolazione). Invero, come già aveva significato Beaudelaire, la poesia può nascere dai fleurs du mal (maledizione) per poi elevarsi nella sfera della benedizione (strategia di costruzione della bellezza assoluta in cui la poesia supera la disarmonia e la tragicità per aprirsi uno spiraglio e per intrattenere, sempre a detta di Baudelaire un commerce avec le ciel.

In tutto il ‘900 il discorso sulla poesia si fonda sull’ontologia della parola, E ce lo esprime con vibrante tensione lirica G. Ungaretti nella lirica “Commiato” (2 ottobre 1916) nella quale dà una definizione della poesia

Poesia/ è il mondo, l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola/ la limpida meraviglia / di un delirante fermento/   conclude con queste parole: quando trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata nella mia vita /come un abisso.

La concezione di una poesia che si libra tra buio (angoscia esistenziale) e luce (parola-rivelazione dell’Essere) sta alla base di un discorso dialettico ancora oggi sentito profondamente dagli autori nonché dai critici e dai lettori.

Lo stesso Montale, anche quando dice “non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe……………………………………………. “non domandarci la formula / che mondi possa aprirti/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo………………………..seppure con l’anafora “non”, che manifesta la concezione di una teologia cosiddetta negativa, affida alla parola poetica l’unica possibilità di conoscenza metafisica e di rivelazione dell’Essere.

Più tardi lo stesso Montale dirà in (E. Montale- Sulla poesia- Mondatori 1971.) “Che cos’è una poesia lirica? Per conto mio non saprei definire quest’araba fenice, quest’oggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile, questa strana convivenza del ragionamento e dello sragionamento”.

Questa breve e sommaria premessa sui caratteri generali della poesia contemporanea ha un senso nel nostro discorso in quanto, dovendoci apprestare a trattare della lettura del testo poetico, ci sempre opportuno, sia pure nelle linee generali, comprenderne gli elementi essenziali costitutivi per procedere poi ad una corretta forma di indagine interpretativa.

Nel leggere un testo poetico, infatti, dobbiamo tenere presente il suo “dominante”, che spesso si basa un linguaggio potenziato al massimo e che nella sua natura può essere musica, canto dell’anima ed al contempo sublime forma di conoscenza dell’uomo e del mondo.

Sarà necessario cogliere nella parola il segno che è alla base dell’inventività lirico-fantastica dell’autore.

Seguendo i precetti di Mukarovsky dobbiamo rapportarci alla poesia cercando di interpretarne il valore, che le è proprio e che è quello di “raggiungere e colpire gli strati più profondi della spiritualità”.

Lo stesso M. afferma che il lettore di poesia ai fini di un’interpretazione omnicomprensiva della medesima “deve superare i limiti del sempre mutevole contesto storico” in quanto “l’opera poetica non si rivolge soltanto ad una personalità dello stato determinato della società, bensì a ciò che nell’uomo è generalmente umano”.

Seguendo la tesi dello studioso cecoslovacco ci appare chiaro che il lettore per una compiuta analisi del testo narrativo deve ricorrere a componenti extratestuali che possono essere significativi per la comprensione globale della poesia, che include in sé molti valori di carattere esistenziale, morale, sociale.

Bisognerà, pertanto, attribuire una specifica connotazione alla parola intesa come segno ( parola-atto che rivela un certo modo di essere o una manifesta una certa disposizione d’animo attestandosi come cifra poetica assoluta).

Il linguaggio poetico è diverso da quello usato dal comune linguaggio in quanto è per sua natura estetico.

Il segno nel testo poetico è ipersegno in quanto non si racchiude nei soli significati, ma nasce, come dice M. Corti (M.Corti- Principi della comunicazione letteraria- Bompiani 1971-p.21) “.nell’interazione dinamica di tutti gli elementi del discorso, interazione attivata da fattori metrico-ritmici decisivi per la genesi della poesia stessa”.

Il segno poetico, allora per sua stessa natura, è polisemico e spesso, come afferma Greimas (Greimas. Del senso, Milano, Bompiani, 1974, pag.290) “crea naturalmente l’isotopia, che è un insieme ridondante di categorie semantiche che rende possibile  la lettura uniforme di un testo”.

I due elementi che  formano un’isotopia sono semanticamente omogenei

Addiciamo alcuni esempi.

Si consideri la poesia di E. Montale  “Spesso il male di vivere ho incontrato”

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia

era l’incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato..

Il primo sema (male di vivere) si specifica nell’espressione, alla quale corrispondono tre simboli-metafore il rivo strozzato, che gorgoglia, l’accartocciarsi della foglia, il cavallo stramazzato.

Nella struttura della poesia, che per sua natura tende all’immaginario, prendono rilievo, inoltre, alcune forme archetipo-simboliche che si presentano variamente semantizzate nell’universo particolare dei poeti. Es. aria, fuoco, terra, sole…….motivi ricorrenti e rivisitati nelle forme esistenziale dell’io individuale dei poeti. Ricordiamo a proposito del sole Foscolo all’inizio dei Sepolcri vv.3-5 “Ove il Sole /per me alla terra non fecondi questa /bella famiglia d’erba e d’animali……………e la chiusa del Carme che riprende in forma di isotopia la figura del sole “finchè il Sole splenderà sulle sciagure umane

Considerata la complessità che l’analisi del testo poetico comporta ci apprestiamo  ai fini anche di una maggiore efficacia didattica a  presentare una griglia  di analisi di testi poetici.

GRIGLIA DEI TESTI LETTERARI

A.   INVENZIONE

 A. 1  Tematica

-la poesia ha un andamento prevalentemente narrativo, o descrittivo, o espressivo di stati d’animo? Se diversi di questi aspetti sono presenti, in quali rapporti stanno fra loro?

-quale spazio rispettivo hanno sentimenti, immagini, concetti? In quali rapporti stanno fra loro?

-i motivi hanno un valore simbolico?

-è implicata, e come la dimensione temporale dell’esperienza?

 A.2 Realtà ed immaginazione.

-la poesia si riferisce a situazioni verosimili o ad un mondo immaginario? o fonde il reale con l’immaginario?

 A.3 Le immagini, definito ed indefinito.

-predomina una visione percettiva (visiva, uditiva  etc.)

-prevale una chiara scansione delle immagini o un loro avvicendarsi irrazionalmente?

-B.   DISPOSIZIONE

-il tema della poesia è uno e semplice, o si articola in diversi aspetti e momenti?

-si ha un tono uniforme o una varietà di toni espressivi?

-si può riconoscere che armonizza diversi temi e toni?

ELOCUZIONE

 C.1 Sintassi

-prevalgono periodi lunghi o brev

  c’è una presenza notevole di frasi nominali?

 C.2 Varietà linguistiche

-il lessico è usuale o ricercato?

-come si collocano le scelte linguistiche del poeta rispetto alla lingua poetica tradizionale e ai linguaggi dell’uso comune?

 C3 Figure retoriche

-quale rilievo hanno le metafore e le figure retoriche? Sono figure usuali o particolarmente originali?

-le figure servono ad arricchire il l’espressione o costituiscono la sostanza stessa del discorso?

-è possibile distinguere un senso letterale e uno figurato, oppure essi sono completamente fusi?

 C.4 –si riconosce la ricerca di particolari effetti sonori ottenuti con l’allitterazione e con altre “figure di parole” o comunque con l’insistenza di timbri specifici?

 D. METRICA

 D.1 Schema metrico

-il metro è tradizionale o libero?- come si pone il poeta rispetto alla tradizione metrica?

   E  INTERPRETAZIONE  E VOMMENTO

E.1  Interpretazione complessiva.

–         tra gli aspetti considerati, quali appaiono dominanti e caratterizzanti?

–         Quale  intento espressivo fondamentale si può attribuire all’autore? (esprimere uno stato d’animo, creare un’opera bella fine a se stessa, sostenere una tesi ideale o morale, continuare o contestare una tradizione letteraria.

E.2  Contestualizzazione storica

-ricorrono nel testo indizi significativi della personalità dell’autore, della sua poetica, del contesto culturale e letterario in cui ha operato?

E.3  Attualizzazione

-per quali aspetti il testo può essere significativo ed interessante per il lettore di oggi?

 La narratologia

 La narrativa è tra i generi che nel tempo hanno acquistato sempre una grande popolarità. Gli antichi la identificavano con la fabula per quel misto di realtà e finzione che questo genere letterario comprende

 La sua tradizione si è diffusa largamente nel tempo ed accanto ad una tradizione scritta  vanta una gloriosa tradizione orale.

Molti miti tramandati dall’età classica fungono ancora da archetipi alla narrativa moderna.

E mentre l’epica coincide con le origini letterarie (in Grecia, a Roma, in Francia, in Italia…) le altre forme narratologiche si affermano nel tempo con lentezza. Il romanzo appare in Grecia non molto prima del II secolo e veniva considerato un genere minore.

 Tuttavia anche prima della nascita del romanzo se ne possono rinvenire prototipi sempre in Grecia nella storiografiae nella biografia.

Il romanzo, invero, come l’epica contiene un patrimonio di testi trasmessi oralmente come le fiabe.

Al romanzo si affianca il racconto, che si differenzia dal primo per la brevità della durata.

Tuttavia questa distinzione non sempre è reale in quanto il romanzo può essere costituito da una serie di episodi e può ospitare al suo interno veri e propri racconti ( si prenda ad esempio la fabula milesia nell’Asino d’oro di Ovidio.)

Il romanzo, inoltre, presenta maggiore libertà di forme espressivo-inventive rispetto all’epica e alla tragedia che sono legate al canone ed ad un preciso registro linguistico-formale.

Nel romanzo un comune denominatore può riscontrarsi  nella ricorrenza a certe strutture e a meccanismi narrativi.

Tuttavia anche questi aspetti prevalenti nel romanzo sino all’Ottocento non sono più validi nella narrativa novecentesca.

La crisi ideologico-esistenziale dell’uomo del ‘900 ha fatto sì che un romanzo moderno può essere al contempo tragedia, commedia od anche epica ed elegia. (es. I Giganti della Montagna di   L. .Pirandello).

Dovendo analizzare i testi narratologici da quelli mitologici a quelli propri del romanzo, della tragedia e della commedia occorre individuare alcune componenti strutturali costanti

La prima costante, di cui ci occupiamo all’interno del testo narratologici, è quella costituita dal binomio storia-discorso.

.Fondamentale è nello sviluppo narrativo, infatti, la storia. Nella tecnica narrativa tuttavia esistono delle anacronie rispetto al tempo reale delle vicende narrate. Sull’argomento i Latini avevano definito i termini del tempo distinguendo la sequenzialità temporale della fabula in ordo naturalis (la reale successione degli eventi) ed in ordo artificialis  ( la sequenza temporale secondo la disposizione artistica).

Per realizzare nella narrativa questa ordo artificilias l’autore nella narrativa ricorre a  due procedimenti stilistici 1) analessi: evocazione di eventi anteriori in cui si trova il racconto.

2) prolessi:  anticipazione di un evento futuro.

Occorre adesso puntualizzare il modo con cui il narratore seguendo la sua inventività artistica ci presenta la storia da narrare ed il suo svolgimento.

Se il narratore  è ommnisciente (colui che conosce tutto ed anche l’universo  dei pensieri e dei sentimenti dei suoi personaggi) adotta  un punto di vista non focalizzato ( superiore ed  esterno alla vicenda che tratta.).

Il narratore, invece, cosiddetto scienziato, che assume la visione e la coscienza limitate del personaggio, che in una determinata struttura antropologico-sociale sembra “farsi da sé”(cfr: Verga), adotta la  tecnica della focalizzazione interna.

Nel ‘900, infine, l’autore ha sentito viva l’esigenza di porsi all’esterno di tutti i suoi personaggi, non assumendo l’ommniscienza, anzi professando di sapere meno di loro. In tal caso si limita a registrare  gesti, discorsi e sia l’azione che i personaggi sono sempre in fieri ed assumono una loro autonomia, che si svela altresì  nelle forme dialogico-discorsive.(è questa la ragione perché molta critica recente identifica lo stesso personaggio con l’atto linguistico). Siffatta tipologia narrativa si snoda con sequenze che seguono talora le modalità della scrittura filmica. E’ il caso dei romanzi maggiori di Pasolini. La tecnica adottata dallo scrittore è in questo caso quella della focalizzazione esterna.

I tempi e gli spazi della storia si articolano attraverso la fabula (che potremo chiamare anche traccia) e l’intreccio che è per così dire la forma della trama, l’ordine particolare degli avvenimenti del racconto, le interrelazioni sussistenti tra fatti e personaggi attraverso l’assiologia spaziale-temporale.

Tempo e spazio sono nel racconto messi in stretta relazione con la situazione introspettivo-psicologica del personaggio e della vicenda nella quale si muove.

Attraverso l’assiologia spaziale-temporale possiamo invero non solo comprendere il senso profondo della storia e dello stato psichico-emotivo del personaggio, ma anche interpretare la Welthaschauung dell’autore ed individuarne il messaggio.

Secondo il Lotman gli assi spaziali possono articolare grandi discorsi metafisici..

 Dante, per esempio, inizia il suo cammino attraverso la selva oscura, cui fa riscontro il buio (l’assenza del bene) per poi ascendere nel Purgatorio.che si conclude in vetta  nella divina foresta del Paradiso. terrestre.

Il terzo momento è rappresentato da una spazialità luminosa che si conclude nell’Empireo in una sublimazione mistica della “candida rosa”.

I tre referenti: selva, foresta, rosa sono elementi paradigmatici dell’itinerario  del peregrino Dante dal mondo della perdizione a quello della salvezza.

Altre volte gli assi temporali-spaziali possono essere interpretati in relazione al personaggio ed al suo ambiente in senso strettamente antropologico-sociale ed esistenziale. E’ il caso di Rosso Malpelo di G.Verga.

 Così scrive al riguardo A.Marchese. “ Il testo letterario- S.E.I- 1994 -pag.163. “In Rosso Malpelo il sistema spaziale è articolato con doppia opposizione semica.

                                 SPAZIALITA’

Degli altri

CASA

====sopra======

 azzurro –turchino-mare

 Cielo, mare, campagna ==============aperto

 

SPAZIALITA’

Dell’eroe

CAVA

===sotto==============================rosso-nero

Sottoterra

Chiuso

 Lo spazio dell’autore è quello sotterraneo e chiuso della cava e del mondo inferico; lo spazio degli altri, superiore e aperto, si visualizza nelle case, nel cielo, nel mare e nella campagna.(con i suoi colori vivaci contrapposti al lugubre buio delle gallerie e al rosso della rena traditrice). La costruzione tipologica, in questo caso, va oltre la sfera della pura descrizione e della stessa diegesi, in quanto tocca i livelli profondi, assiologici ed esistenziali del protagonista, i suoi rapporti con gli altri personaggi e con la natura: l’intreccio dei codici ha per effetto una complessa metamorfosi del senso narrativo.”

Ci siamo accorti che alle tecniche narrative corrisponde una diversa visione della vita dell’autore che è sempre legato all’humus storico-sociale del suo tempo.

Ne deriva conseguentemente che anche la tipologia del personaggio varia nel tempo-

La fondamentale distinzione tra figura del personaggio  quale ci appare sino all’800  e quello contemporaneo  viene formulata dal Foster nel 1927:  Fino all’Ottocento, nota lo studioso, prevaleva nel tessuto narrativo dell’autore come tipologia del personaggio l’“homo fictus, mentre nel Novecento prende campo la figura dell’“homo sapiens”.

Con homo fictus si rappresenta il personaggio ideale proposto dall’autore omnisciente ( es.I Promessi Sposi di A.Manzoni).

L’homo sapiens, invece, si contrappone all’homo fictus  e come il suo stesso etimo propone  (dal latino sapere) prende vita e corpo in relazione con la reale vita, con le vicissitudini che percorre e si costruisce autonomamente anche attraverso forme diaologico-discorsive  tutte proprie.

Dall’epica antica all’’800 la parabola del personaggio è stata raffigurata dall’“homo sapiens”, costruito dall’autore omninisciente e modellato secondo archetipi universali.

Col mutare del tempo e con l’avvento delle concezioni filosofico-probabilistiche del ‘900 all’homo fictus, costruito a tutto tondo dall’autore e riconducibile a valori paradigmatici, si contrappone l’uomo-particella (homo sapiens) che vive nei frantumi dell’Essere e che ha una vita indefinita e che spesso rappresenta per il lettore un alter ego da interrogare nelle sfaccettature del suo divenire, del suo farsi personaggio, del suo atto comunicativo-linguistico.

IL DISCORSO

La peculiare attenzione dei narratori novecenteschi volti ad interpretare il reale fenomenico in una dimensione  del tutto antroplogico-esistenziale ci induce a sviluppare il secondo aspetto del binomio necessario e sottostante ad ogni processo di scrittura narrativa, di cui abbiamo innanzi detto: “Storia  e discorso”. Volendoci soffermare su quest’ultimo e, seguendo le indicazioni teoriche proposte da Bachtin, possiamo affermare che la narrativa contemporanea è un fenomeno pluristico, pluridiscorsivo, plurivoco.

Col termine pluristico intendiamo una mescolanza di unità stilistiche interagenti su differenti piani della lingua.

Con la denominazione pluridiscorsivo invece vogliamo significare una stratificazione sociale del linguaggio  (dialetti, gerghi…modi di dire) che comunica al lettore una ricca dialettica ideologica.

Infine diamo al discorso l’accezione “plurivoco” in quanto l’autore si propone di dare voci a più persone che appaiono in palese contrasto sul piano sociale ed anche sul piano psicologico-esistenziale. ( FenoglioIl partigiano Jonny).

Sempre secondo Bachtin approdiamo ad una forma di dialogia, in cui si trascrivono i conflitti, le diversità della vita e dei personaggi con una scrittura reale.

Ed è proprio in virtù di queste risorse linguistiche e delle nuove invenzioni tecniche e stilistiche che la narrativa, oggi, superati gli schemi di una cultura borghese e comunque distante dal popolo, attraverso la sua metamorfosi ci propone illusioni ed allusioni, miti e simboli di una realtà che deve essere compiutamente trascritta dall’autore ed interrogata dal lettore.

lLE FORME DEL DISCORSO NARRATIVO

a)      discorso narrativizzato o raccontato ( è l’autore che gestisce il discorso e parla a nome dei personaggi).

b)       discorso trasportato in stile indiretto (conserva la presenza del narratore, che cita però a suo modo le parole dei personaggi.

c)      discorso riferito o diretto ( il narratore riferisce direttamente le parole del personaggio.)

d)     soliloquio (presente soprattutto nel teatro- il personaggio medita- su se stesso; può

avere un carattere di confessione e comunque di introspezione psicologica spesso con accentuazioni di livello lirico.)

e)      monologo interiore (presente in Svevo: una forma di autoanalisi attraverso cui il lettore entra direttamente a contatto con la vita interiore del personaggio).

f)       flusso di coscienza: si distanzia dal monologo interiore in quanto contiene una forma di alogicità, che si rinviene anche  nell’uso asintattico dell’espressione, che propone una serie indistinta di immagini, sensazioni e pensieri che emergono dagli strati più profondi dell’inconscio. (cfr. il flusso di coscienza nell’Ulisse di Joyce, nel quale le parole non seguono alcun ordine logico, ma connotano solo i perturbamenti del personaggio; persino la punteggiatura viene abolita.)

Per quanto concerne i livelli narrativi ed il rapporto tra narratore e storia riferiamo quanto viene illustrato da A. Marchese (Il testo letterario op.cit. a pag166 )  “ I livelli narrativi si manifestano quando il narratore di primo grado (o diegetico) cede la parola a un personaggio, che diventa narratore di un racconto di secondo grado (o metadiegetico). Il narratore di primo grado è detto esxtradiegetico (è fuori dalla storia), quello del racconto secondo è detto intradiegetico e non può che rivolgersi ad altri personaggi del racconto primo: è il caso di Ulisse davanti ai Feaci o dei giovani personaggi-narratori del Decameron, responsabili dei cento racconti metadiegetici. (il racconto di primo grado è la cosiddetta cornice).”

Quanto al rapporto fra il narratore e la storia si distinguono due tipi di racconto.

 Il primo è eterodiegetico con narratore assente nella storia raccontata, (il narratore-autore Omero, Manzoni nei Promessi Sposi), il secondo (omodiegetico) con narratore presente nella storia raccontata

.La presenza del narratore ha delle gradazioni, per cui l’omodiegetico si distingue in due varietà (autodiegetico e allodiegetico a secondo che il narratore sia protagonista della storia, come Mattia Pascal, o semplicemente un testimone come Moby Dick.”

La metamorfosi della narrativa nel Novecento

Principali teorie letterarie

 Nel Novecento si pone in discussione il concetto di letterarietà intesa in senso classico della narrativa e parimenti si focalizza il discorso sugli innovativi stilemi linguistici, che configurano la cosiddetta “lingua antiletteraria”, che per gli scrittori coevi rappresenta al contempo l’unico modo possibile per trascrivere ed interpretare il reale fenomenico nonché per dare voce autentica ai personaggi.

Come fa rilevare Pratt “molti elementi che gli studiosi hanno giudicato costitutivi della “letterarietà”  nel  romanzo non sono affatto letterari, comparendo nei romanzi non perché romanzi (letteratura) ma perché questi elementi appartengono ad una categoria più generale di atti linguistici: in questo caso la categoria della narrativa”.

E mentre nel ‘900 si afferma la nuova forma narratologica del romanzo si evidenzia sempre più la differenza tra il concetto classico di epica e la moderna accezione di romanzo e si pone in risalto l’opposizione dell’eroe positivo dell’età classica a confronto con l’eroe  (il più delle volte eroe negativo)  e/o il personaggio del quotidiano nella cultura narratologica contemporanea.

L’epica, in effetti, che si era originata in età preistorica prima ancora della scrittura ha un suo canone, un suo archetipo determinato.

Il romanzo, in particolare quello moderno, non ubbidisce  a nessun canone

. Nel mondo dell’epica è raffigurato il passato eroico che spesso è stato interpretato nella tradizione letteraria come paradigma della gloria della storia nazionale.

Il mondo degli eroi, pertanto, ci appare a livello assiologico-temporale inaccessibile, separato da una distanza epica.  Anche il linguaggio in tal caso deve ubbidire   ad un canone preciso di registri linguistici.

Come, invece, abbiamo avuto modo di osservare gli assi temporalesapziali nella narrativa novecentesca non rimandano ad alcun canone o ad alcun archetipo prestabilito.

Spazio e tempo si configurano in una realtà  fenomenica legata all’esistente e al quotidiano.

In questa cornice anche la lingua come il personaggio hanno una storia mutevole e sempre in divenire, corrispondente al vissuto della propria esperienza modellata dall’invenzione personale dell’autore.

E’ da sottolineare, però, che il dibattito culturale promosso nel ’900  ha un carattere bipolare.

Se da un lato, infatti, gli scrittori e i teorici della letteratura tendono a definire il loro modo diverso di “fare letteratura” e la distanza che li separa dal mondo della tradizione classica, dall’altro non rinnegano il passato, anzi lo comprendono adattandolo al loro tempo attraverso il ri-uso di miti (L. Pirandello- I Giganti della Montagna– Joyce.-Ulisse) e la rivisitazione di tutte le svariate forme letterarie precedenti.

Nasce, allora, l’esigenza di una nuova codificazione dei generi letterari e nel campo propriamente teorico insorge un’innovativa concezione del realismo omnicomprensivo del mondo artistico anche in senso diacronico.

E parlando di realismo nell’ottica della critica contemporanea non possiamo che ricondurci  alle teorie proposte in merito da Auebarch, che ci apprestiamo ad enunciare sommariamente nelle linee generali.

 Lo studioso ricusa la teoria antica degli stili,  secondo la quale. la realtà quotidiana doveva essere letterariamente trascritta entro la cornice di uno stile umile e medio per approdare infine ad “una forma grottesca e comica oppure di divertimento leggero ed elegante” e stigmatizza il fatto che “Stendhal e Balzac, facendo oggetto di rappresentazione seria, problematica, o addirittura tragica, persone comuni della vita quotidiana, condizionate dal tempo in cui vivevano, infransero la regola classica dei livelli stilistici.”

Lo sguardo del teorico della letteratura tende però a spingersi oltre ed è proteso a  scrutare nella sua globalità il processo diacronico del fenomeno letterario. I suoi principi, per maggiore intelligibilità sul piano didattico, possono essere compendiati  in questi aspetti fondamentali

1)      le barriere concernenti la separazione degli stili sono abbattute nell’età del Romanticismo.

2)      le barriere che imponevano una netta separazione degli stili permangono negli autori che sono seguaci di una rigida imitazione delle letterature antiche verso la fine dei secoli XVI e XVII.

3)      Nel Medioevo ed anche nel Rinascimento si era avuto un realismo serio. La poesia come le arti figurative rappresentavano il reale anche con tono serio e grave e pertanto la teoria dei livelli stilistici non aveva nessuna validità generale

4)      .Con il Cristianesimo si ha il primo superamento delle leggi stilistiche. “ La prima breccia nella teoria del mondo classico risale proprio alla fine del mondo antico e fu la diffusione del Vangelo…………fu la storia di Cristo con la sua spregiudicata mescolanza di realtà quotidiana e d’altissima e sublime tragedia”.

Le teorie proposte da Auebarch sono illuminanti  sia per quanto riguarda il principio degli stili, sia per la nuova visione del realismo, che lo studioso chiama figurale, e la cui ideologia trasferita sul piano della metodologia critica, ci ha dato e continua a darci la possibilità di leggere le opere letterarie di ogni tempo ed in particolare  la  Commedia di Dante in forma del tutto originale e con convincenti esiti ermeneutici.

Ci pare doveroso, però, dopo aver orientato la nostra attenzione proprio sulla categoria estetica del realismo, quale ci viene proposta da A., enucleare la sostanziale differenza tra realismo medievale e realismo moderno. Il concetto viene chiarito  dallo stesso critico.

Auebarch, infatti , precisa che c’è una netta distinzione tra il realismo medievale e quello moderno.

Infatti ogni fatto che avviene nella terra, secondo il realismo medievale, è anticipazione di un evento futuro e la connessione e la successione degli avvenimenti sono considerati non casualmente, ma preordinati dal volere divino. Anche i personaggi e  le istituzioni del mondo primigenio o classico sono visti come “figure”, anticipazioni del mondo escatologico- divino.

Nell’esegesi cristiana Adamo, infatti, è una “figura” di Cristo ed Eva della Chiesa e lo stesso impero universale romano figura” di Dio.

Il realismo moderno, nota Auebarch, invece, oltre alla gerarchia stilistica si contrappone alla concezione figurale del Medioevo letterario in quanto immerge la rappresentazione proprio nel reale storico, nel quotidiano, che si snoda con l’esperienza vissuta e che non ha nessun nesso di causalità con paradigmi universali .

Se Auebarch sviluppa in maniera originalissima la teoria degli stili, Bachtin, rifacendosi all’analisi  morfologica russa, fonda la sua attenzione non su un principio di teoria letteraria, bensì su un fenomeno di carattere antropologico-sociale: il carnevale.

Il carnevale è uno spettacolo, infatti, che non ha regole precise; non vi è distinzione tra esecutori e spettatori (nell’interpretazione del testo narrativo contemporaneo si intende abolire altresì la distanza tra autore e lettore), tutti prendono parte all’azione (tutti quanti gli esseri umani e a qualunque stratigrafia sociale appartengono hanno diritto di cittadinanza nell’universo letterario della narrativa contemporanea).

 Nel carnevale, inoltre, puntualizza sempre Bachtin non si recita, si vive (l’identità letteratura-vita è uno dei presupposti fondamentali di tutta quanta la letteratura novecentesca.).

Il carnevale, inoltre, propone l’abolizione di tutte le regole (nell’ambito letterario vale a dire l’abolizione di tutte quelle norme di ordine retorico e stilistico che spesso erano deformanti nella rappresentazione della realtà o dell’autenticità dell’esperienza vissuta e/o comunicata dal personaggio).

La vita carnevalesca è peraltro una vita “all’incontrario” e “al rovescio” (si allude al rovesciamento di tutte le categorie estetiche e della gerarchizzazione nell’ambito sociale.)

Conseguentemente Bachtin può concludere affermando che nell’epoca moderna la carnevalizzazione della letteratura si riflette nel romanzo, nonché in tutte quelle esperienze che

realizzano la mescolanza degli stili, dei generi, contrapponendo alla tradizione gerarchica, fissata in rigidi schemi classicistici e statici caratterizzanti la cultura ufficiale, un dinamismo di forme letterarie aperte alla “dialogicita”, ad un discorso pluralistico, plurivoco aperto a tutte le stratificazioni sociali.

Il concetto del carnevale nella sua  trasposizione nel campo della teoria della letteratura, non assume, però, soltanto la connotazione ludica di parodia, comprende un polisenso che dalla sfera del tutto psicologica ed umana del singolo personaggio si allarga ad un contesto antropologico-sociale ben più ampio.

E se invero con il concetto di carnevalizzazione della letteratura e, particolarmente con la visione della vita, “all’incontrario” e di un “mondo alla rovescia” possiamo esemplare l’emancipazione delle classi europee dopo il tramonto dell’aristocrazia, non sembra che la  gioiosa  festa arrechi sempre il sorriso ed infonda ottimismo; anzi lo stesso polisenso della mescolanza e della mancanza dell’ordine appaiono come i segni della problematicità esistenziale e della lacerazione dell’io, di cui tanta parte della migliore letteratura novecentesca è stata e continua ad essere rivelatrice ed appassionata interprete.

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Educazione letteraria

Lineamenti di programmazione didattica del corso di lezioni per l’insegnamento “Educazione Letteraria”-indirizzo: Linguistico-letterario  Classe  A.D. 43 a 50 a- Corso speciale D.M. n°21 del 09/02/2005-legge 143-

Università agli Studi di Palermo- Facoltà di Lettere e Filosofia-  S.I. S..S..I..S

Anno accademico 2005/2006

Docente: Prof.Salvatore Coico

 

Approccio con il testo.

 

Il processo ermeneutico oggi esige un atteggiamento di cooperazione critica, attraverso il quale, seguendo la lezione di R. Barthes il lettore non legge, ma interroga il testo. Si tratta di una strategia euristica atta a comprendere il valore polisemico del testo letterario.

Il testo, come il suo etimo ci suggerisce è un tessuto, un insieme di segni e nel caso di testo scritto un intreccio di parole.

Ogni testo è l’espressione di una determinata realtà storico-sociale, ma talora il suo contenuto trascende dal contingente per assumere valori metastorici ed universali. La cultura, infatti, come afferma il. Lotman (J.M. Lotman-Tipologia della cultura-Milano- Bonpianii-1975-pag. 28) non è un semplice deposito d’informazioni, ma “è un meccanismo organizzato estremamente complesso, che conserva l’informazione, elaborando continuamente a tale scopo i processi più vantaggiosi e compatti, ne riceve di nuovi, codifica e decodifica i messaggi, li traduce da un sistema segnico ad un altro.”

Un testo è sì un documento, ma può essere considerato anche un monumento per il suo alto valore categoriale e metatemporale.

 

 

Il testo e la comunicazione

 

Il testo è un insieme di segni. Rifacendoci alle primigenie nozioni di linguistica introdotte da F. de Saussure (1857-18139) possiamo affermare che un segno è l’associazione di un significante e di un significato, intendendo con significato l’”immagine mentale “ e con significante “l’immagine acustica”.

Sempre. secondo Saussure, la lingua è un insieme di segni. La langue per lo studioso ginevrino è l’insieme dei segni, che servono come comprensione tra i membri di una stessa comunità linguistica, mentre la parole è l’uso che ciascun membro di tale comunità linguistica fa per farsi comprendere e rappresenta l’atto individuale e concreto dei soggetti, che si servono di quel sistema in una situazione determinata.

E’ chiaro che Saussure dà una rilevanza maggiore alla langue, che assume la valenza d’istituzione storico-sociale rispetto alla parole. Sull’argomento esplicito è il chiarimento espresso dallo stesso studioso, che in “Journal de psicologie” 1952 pp-137 così si esprime “ Lo studio della lingua comporta due parti: l’una essenziale, ha per oggetto la lingua, che nella sua essenza è sociale e indipendente dall’individuo, l’altra individuale del linguaggio, vale a dire la parole, ivi compresa in essa la fonazione; essa è psicofisica. Langue e parole rimangono due componenti assolutamente distinti per S; dovremo attendere gli studi più recenti in campo della linguistica e delle teorie letterarie per superare questa dicotomia.  

 

 Il principio di SAUSSURE

 

 

 

La lingua, come peraltro il testo letterario, viene studiata attraverso il processo sincronico (simultaneità temporale) e attraverso il processo diacronico (attraverso il tempo).

Un’altra utile distinzione è quello tra significato denotativo e significato connotativo.

 Denotazione è il valore informativo di una parola indicato dal vocabolario, connotazione è il surplus di senso che la parola acquista e può avere un referente allusivo, affettivo, evocativo, simbolico, storico, ideologico.

 Dalla linguistica alle teorie letterarie

 Gli studi linguistici influenzano ampiamente le teorie letterarie dando l’avvio alla critica strutturalistica. Ma che cos’è lo strutturalismo? Come suggerisce lo stesso etimo dal latino “struere” ordinare gli strutturalisti intendono dare una certa organicità unitaria a tutti gli elementi

costitutivi dell’opera letteraria. Come afferma Jean Starobinski lo strutturalismo non è, come il marxismo, una visione del mondo, né fonda, come la psicanalisi, la sua tecnica interpretativa su nozioni invariabili. Nell’approccio con l’opera d’arte, analizzata come un insieme di strutture, di cui sono pregnanti quelle linguistico-formali, il critico strutturalista non solo la legge, ma l’indaga, l’interroga.

Le modalità seguite dalla corrente possono essere individuate in tre forme di tipologia d’indagine critica

1)      linguistico-comunucativo

2)      semiologico

3)      formale

Per quanto attiene al metodo linguistico-comunicativo il più noto è quello di Sklovkij, che si basa sul principio dello “straniamento”. Con “straniamento” noi intendiamo la traduzione più comune di ostranenie (letteralmente rendere strano, un altro prezioso termine coniato dai formalisti. russi. In un suo saggio pubblicato nel 1917 Victor Sklovskij sostiene che scopo essenziale dell’arte è superare gli effetti causati dall’abitudine, mediante la rappresentazione di cose familiari in modi non familiari.

Il che non può avvenire se non con la sublimazione della parola; ed è proprio il linguaggio, infatti, che rende l’immagine artistica originale, imprevedibile.

L’arte conseguentemente, come affermerà Mukarovsky, in (La funzione, la forma esteticaEinaudi 1971) si realizza per la funzione estetica, che attualizza il valore del segno che viene recepito dal lettore.

Nell’uso del linguaggio l’autore, secondo i formalisti russi, opera uno scarto della parola, che diventa il nucleo fondante della sua poetica.

Nella poesia lo scarto della parola può diventare un ipersegno e quindi assumere il valore categoriale di dominante del testo poetico.

Lo studio del linguaggio e delle relative teorie letterarie trovano il loro sbocco naturale nella sfera della comunicazione..

Jakobson opera mirabilmente quest’interrelazione tra testo letterario e teoria della comunicazione individuando l’interazione attraverso queste componenti

a) contesto b)mittente c) messaggio d) destinatario e) codice a cui corrispondono sei diverse funzioni linguistiche:

1) referenziale 2) emotiva 3) poetica 4) conativa 5) fatica 6) metalinguistica.

L’attenzione che Jakobson pone alla funzione poetica è senz’altro ereditato dal principio dello”straniamento”

Lo studioso, nel formulare le sue congetture critiche, ci offre un sistema alquanto organico e coerente per leggere un testo letterario e per interpretarlo come un sistema di segni, rapportati non solo alla lingua, ma a diversi codici e sottocodici storico-culturali.

Ed adesso occupiamoci del secondo metodo della critica strutturalistica: quello semiologico.

Quest’ultimo considera l’arte come un insieme di segni e si rivolge soprattutto all’analisi del racconto tendendo ad enucleare “in varianti tematiche o “funzioni” ricorrenti nei miti, nelle favole o nella caratterizzazione e nelle vicende dei personaggi che espletano determinate funzioni nell’ambito degli stessi temi.

Si ricordi a proposito Propp. (Morfologia della fiaba Einaudi 1966)

Infine con la critica linguistico-formale gli studiosi si propongono di coordinare in una forma sistemica tutte le componenti che sottendono l’opera d’arte.

Ma per una comprensione più precisa di questa tecnica interpretativa lasciamo parlare il critico Avalle, che in Italia è il principale teorico di questa tendenza

“l’arte nella misura in cui esce dall’informe non è un aggregato casuale di unità disparate, ma comporta un principio di organizzazione e la presenza di elementi letterari.Ora se l’opera d’arte è intesa come tale solo nella misura in cui è possibile dare un nome a questi elementi, compito del critico sarà di individuare quanto ne determina il significato dal punto di vista punto di vista funzionale ad a esclusione di tutto ciò che vale unicamente sul piano dell’organizzazione esterna come la divisione e l’ordine delle parti (capitoli iniziali, l’impiego eventuale di figure retoriche etc).” (D.S. Avalle Corso di semiologia dei testi letterari, Torino, Giapichelli, 1972)

Lo stesso Avalle con l’analisi della lirica di E. Montale “Gli orecchini” ci offre un esempio mirabile di saggio critico fondato sui criteri della critica linguistico-formale..

 L’AUTORE E IL LETTORE

Autore reale- Autore implicito-

  Narratore- Narratio- Lettore implicito- Lettore reale

 L’autore reale è lo scrittore esterno al testo letterario nel quale comunque proietta una propria immagine letteraria, ma diventa autore implicito nel momento in cui detiene il senso profondo e la costruzione del testo.

All’autore implicito corrisponde il lettore implicito che è il lettore ideale che si prefigura l’autore al momento della sua creazione letteraria.

Ed è proprio in rapporto al lettore implicito che l’autore stipula un patto di lettura (convenzioni, regole per realizzazione dell’efficacia della comunicazione).

Secondo la critica recente anche l’intertestualità è compresa nel patto di lettura: la citazione esplicita o diretta, il riferimento ad altri testi sono una sfida al lettore chiamato a completare il senso con opportuni riferimenti.

Si considera che il lettore inizia con due operazioni pragmatiche il dizionario: (l’insieme di conoscenze linguistiche) ed una sua propria enciclopedia (l’insieme delle conoscenze di cui dispone per interpretare la realtà).

Tra il proprio modo di conoscere la realtà e le proprie competenze linguistiche l’autore proietta il lettore in un orizzonte di attesa che avrà il suo coerente svolgimento nell’ermeneutica del testo stesso.

Il lettore è tenuto a salvaguardare l’integrità del testo con correttezza filologica, ma al contempo ad accrescerlo con una sua originale attività interpretativa.

 Il sistema letterario.

 Non possiamo parlare di sistema senza tentare di chiarire il concetto dello “specifico letterario” e di enunciare quelle che riteniamo essere al momento le metodologie critiche più valide per indagare sul variegato mondo della letterarietà.

.Sull’argomento riferiamo quanto ci dice Asor Rosa in “Letteratura, testo, società Aa. Vv. vol.1-Torino 19822”.

“ Se la letteratura verrà considerata come un prodotto sociale, noi cercheremo in essa il predomino della rappresentazione (fedeltà, tipicità, aderenza, verosimiglianza rispetto ad un determinato contesto sociale).  Se la penseremo come prodotto della storia delle idee, in essa ci sembrerà prevalente il meccanicismo in base al quale l’organizzazione formale di una data ideologia produrrà (o dovrà produrre) strutture coerenti con la Welthascauung dell’autore. Il convincimento che l’approccio con il testo è regolato sempre da alcuni meccanismi del piacere, ci spingerà a motivare il nostro giudizio più o meno positivo sul testo in base alla formula edonistica, cui ci ispiriamo.

Se il meccanicismo basilare della conoscenza ci sembrerà di natura psicologica, cercheremo di ricondurre l’interpretazione dei personaggi e delle azioni alle leggi generali della psiche umana, cui la letteratura non può sottrarsi; analogamente faremo quando la struttura di base del linguaggio verrà fatta affondare nell’inconscio o nelle determinazioni che ad esso sono proprie. Chi, invece, nell’opera privilegerà il riferimento a certe componenti dominanti nell’ambito umano-intelllettuale circostante, darà di quell’opera una lettura antropologica. Un’opera, però, può essere intesa essenzialmente come sistema stilistico: la dinamica delle forme finirà in questo caso per influenzare tutto il resto, perché niente di psicologico né di subconscio, potrà penetrare, senza essere filtrato, purgato e sostenuto secondo il principio decisivo della coerenza stilistica.”

L’ampio quadro delle metodologie critiche tracciato da Asor Rosa ci induce a riflettere sulla problematicità della comunicazione letteraria e sulle molteplici spirali di interpretazioni critiche che oggi si offrono al lettore.

Il critico accentua l’attenzione sulla funzione propria dell’opera letteraria in rapporto alla lettura-rivisitazione che ne fa il lettore, che privilegerà l’una o l’altra forma di indagine interpretativa o nei termini che il testo stesso suggerisce e/o nelle forme congeniali alle proprie competenze ovvero nelle abilità (che talora possono anche sottendere un preciso intento individuale e personale) di decifrare il testo.

La varietà delle interpretazioni enunciate da Asor Rosa da quella marxista a quella antropologico-sociale, da quella psicoanalitica a quella stilistica, inoltre, ci rivela come il dibattito culturale concernente le teorie letterarie è a tutt’oggi ancora aperto e di non facile soluzione. Non sembra, infatti, che lo stesso Asor Rosa intenda porre una netta demarcazione tra i vari indirizzi critici.

Nel contesto delle sue parole, infatti, il critico sembra indulgere a considerare simmetricamente la diversità dei moduli ermeneutici in riferimento alla testualità ed alla scelta operata dal lettore.

Il che ci fa riflettere sulla complessità e sulla dialettizzzazione della comunicazione letteraria nel mondo contemporaneo.

Complessità e dialettizzazione dell’opera letteraria, oggi, inoltre, rientrano nella più ampia sfera della concezione del mondo, teorizzata dalla filosofia novecentesca di tipo probabilistica (Heidegger) e che germina anche nel campo estetico diversificati significati e problematiche..

E’ chiaro che, crollate tutte le certezze, che un impianto filosofico di tipo idealistico aveva

posto come momento fondante e conoscitivo dell’universo, anche la scrittura, che si identifica con la vita stessa dell’uomo e con la sua Welthascauung, doveva mutare per rispondere alle istanze del lettore che vive in uno spazio ed in tempo del tutto diversi e determinati

La scrittura oggi, pertanto, non può che avere un carattere polimorfo in quanto deve registrare tutte quante le voci del mondo in cui l’uomo vive e riproporre, come osserva Gramsci, “tutto quanto il reale nei modi propri dell’arte”.

Sarà poi compito del lettore individuare nella pagina scritta il senso ed il polisenso nella struttura unitaria del testo letterario.

Senso del testo letterario inteso come profondità di significato, che sta alla base del testo letterario, e polisenso, inteso come pluralità di significati al testo stesso afferenti, concorrono parallelamente alla comprensione unitaria dell’opera e del messaggio che l’autore ci trasmette.

Nell’ambito degli studi critici concernente il sistema letterario non possiamo dimenticare quello di M. Pagnini anche perché ci offre una visione alquanto ampia ed articolata sull’argomento.

 In “ Pragmatica della letteratura-Palermo-Sellerio 1980” l’autore tenta una classificazione dello statuto letterario che può essere enunciato in norme generali sottoelencate in 12 momenti diversi come ci riferisce il Marchese (A. Marchese- Il testo letterario-op.cit. pp.40-41)

1)      letteratura come imitazione degli stati del mondo (si pensi alla teoria marxista del “rispecchiamento” della situazione sociale.).

2)      letteratura come fantasia (opposta alla prima)

3)      letteratura come “scarto linguistico” (ad esempio la teoria dello “straniamento” dei formalisti russi.).

4)      letteratura come concentrazione di sistemi storico-sociali vigenti (vedi le poetiche di avanguardia)

5)      letteratura come complessità (polisemia dell’opera variamente interpretabile)

6)      letteratura come unità strutturale

7)      letteratura come sopravvivenza epocale (l’opera è grande se capace di rispondere alle domande postele dalle varie epoche in cui è recepita)

8)      letteratura come poetica del senso (le poetiche del Classicismo)

9)      letteratura come imitazione dei classici

10)   letteratura come opacità (la poetica del Simbolismo)

11)  letteratura come sentimento

12)   letteratura come impegno politico e via dicendo.

E’ senz’altro apprezzabile il tentativo del Pagnini nel voler catalogare il sistema letterario in vari momenti riferibili alle varie tappe delle categorie dello spirito e della storia nell’ambito della comunicazione letteraria, ma anche in questo caso non ci sembra che il concetto di letteratura assuma una sua specificità ideologico-culturale e conseguentemente anche nell’ambito dell’ermeneutica siamo lontani da una convincente impostazione metodologica unitaria.

Invero sia con Asor Rosa sia con Pagnini permane l’aporia circa la definizione stessa di “letterarietà” e sulla valenza delle tecnologie da adoperare nell’ambito critico.

Ancora una volta, allora, il discorso letterario rimanda alle teorie filosofico-estetiche del nostro tempo, che sembrano, però, lasciare insoluti molti quesiti.

Premesse queste considerazioni di ordine generale adesso ci pare opportuno enunciare alcuni aspetti costitutivi o generanti del testo letterario, certi come siamo e, come abbiamo avuto modo di osservare, che nel medesimo coesiste una fitta trama di interrelazioni storico-letterarie e di componenti storico-sociali rapportate altresì nell’ambito umano-esistenziale.

A dare vita e corpo a tutte queste forme di invenzione artistica e nello stesso tempo di rappresentazione necessita che il testo abbia delle strutture formali strumentali alla scrittura ed al messaggio che intende comunicare.

Le modalità strutturali fondamentali costitutive del testo sono:

1)      intertestualiatà (trama di rapporti fra il testo e il sistema dell’autore o fra il testo e determinati modelli letterari.)

2)      extratesto (rapporti storico-culturali, codici letterari non esplicitati nel testo, ma in funzione dei quali il testo assume uno specifico significato o una specifica funzione.)

3)      intratestualità (realtà interna al testo- riproposizione di temi ricorrenti legati all’autore o dal medesimo riferiti).

Nell’ambito del sistema letterario trovano inoltre cittadinanza i generi letterari..

 Generi letterari

 I generi letterari, oggi messi in discussione dalle moderne tendenze, hanno una loro precisa collocazione nella tradizione letteraria.

L’antichità classica si rifaceva alla varietà degli stili ponendoli in relazione a motivazioni di ordine ideologico-estetico e contenutistico.

La lirica, l’epigramma, l’idillio erano considerati come espressione dell’“io”individuale ed assumevano una valenza inferiore rispetto all’epos o alla tragedia che avevano un carattere corale e che trasferivano nell’opera il momento più alto delle concezioni mitico-religiose del tempo esaltando peraltro il pathos del personaggio, che veniva elevato a paradigma ideale.

Diversa era, inoltre, la tragedia rispetto alla commedia, che appunto perché era nata nella kome, (in greco provincia-regione da contrapporre al concetto di polis) e, quindi, in un habitat antropologico più ristretto impersonava caratteri e personaggio del quotidiano ed aveva talora un carattere di satira e di parodia.

Su questa concezione Dante fonda la concezione dei tre stili: sublime, comico, umile, riferendosi per l’appunto alla tragedia, alla commedia, all’elegia.

Anche se alla luce della critica contemporanea questa distinzione ha perduto i crismi dell’autenticità è da notare che oggi i generi letterari sono particolarmente oggetto di studio soprattutto nella prospettica dei codici linguistico-formali e nell’indagine dello svolgimento della storia della lingua letteraria.

Scrive a proposito M. Corti “M. Corti I generi letterari in prospettiva semiologia in “Strumenti critici” I, 1972-p. 9 ) “ Se la letteratura è passibile di essere indagata come interazione di istituti letterari, essa è anche da un lato un deposito di tematiche, dall’altro il canale collettore delle varie soluzioni formali che costituiscono la lingua letteraria. Per quanto sia dimostrabile che ogni genere ha avuto il suo tipo di “scrittura” impostato che fosse sulla linea del monolinguismo o del plurilinguismo, tuttavia si è sempre verificato che esso facesse i conti con le generali strutture retoriche della lingua letteraria che, in un paese, come l’Italia, è stata sino al nostro secolo il sostituto dell’inesistente langue”.

In quest’ottica lo studio intorno ai generi letterari ci dà la possibilità di leggere quest’ultimi oltre che sotto il profilo meramente linguistico anche in chiave antropologico-sociale.

 Le mutazioni del linguaggio rapportate a diversificate stratigrafie sociali in differenti contesti letterari diventa, allora, per lo studioso di letteratura un mezzo di conoscenza inalienabile anche per scoprire quel “campo di tensioni” che è presente all’interno di ogni istituto letterario.

ll testo poetico.

 Nel ‘900 si è animato il discorso sulla poesia. Ci sembra opportuno per meglio comprenderne le problematiche di dare la voce ai nostri poeti più rappresentativi.

S. Quasimodo nel Discorso sulla poesia, che apparve per la prima volta come Appendice a “Il falso e vero verde”, (Mondatori 1956) mostra di apprezzare la tesi di Anceschi e rivela un certo entusiasmo per il filosofo, che con metodo filologico, cerca di indagare sulle origini del linguaggio poetico di oggi e sulla sua forma assoluta, universale.

Anceschi ha inoltre precisato che la poesia contemporanea accoglie una molteplicità di temi e di significati, che le permette di vivere in un sistema non chiuso e di slargarsi in un orizzonte aperto nelle mobilità delle relazioni in diversi piani ed ordini.

La poesia, sempre per il critico, proprio nel ‘900 si libera dagli schemi rigidi, in cui la tradizione l’aveva imbrigliata, per “vivere un interrotto variare di rapporti nuovi, imprevedibili”

L’esigenza di vivere un rapporto nuovo con gli uomini e le cose, attraverso la numinazione della parola poetica, è fortemente sentita da S.Quasimodo, che nel testo citato così dice: “La storia delle “forme” come “storia della parola” non si esaurisce, poi anche quando fosse compiuta la storia dei poeti…………..Il poeta è un uomo che si aggiunge agli altri uomini nel campo della cultura, ed è importante per il suo “contenuto” (ecco la grave parola), oltre che per la sua voce, la cadenza di voce……………….La poesia è l’uomo…………………..La ricerca di un nuovo linguaggio coincide questa volta con la ricerca impetuosa dell’uomo.in sostanza, la ricostruzione dell’uomo frodato dalla guerra”.

Le parole del poeta siciliano ci fanno meditare sul valore della parola poetica nonché sull’impegno etico intrinseco alla stessa poesia.

La parola poetica, allora, pur nella sua assolutezza può diventare, come nota Hartman (Saving the test 1861) ferita (poesia-denuncia) o balsamo (poesia-consolazione). Invero, come già aveva significato Beaudelaire, la poesia può nascere dai fleurs du mal (maledizione) per poi elevarsi nella sfera della benedizione (strategia di costruzione della bellezza assoluta in cui la poesia supera la disarmonia e la tragicità per aprirsi uno spiraglio e per intrattenere, sempre a detta di Baudelaire un commerce avec le ciel.

In tutto il ‘900 il discorso sulla poesia si fonda sull’ontologia della parola, E ce lo esprime con vibrante tensione lirica G. Ungaretti nella lirica “Commiato” (2 ottobre 1916) nella quale dà una definizione della poesia

Poesia/ è il mondo, l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola/ la limpida meraviglia / di un delirante fermento/   conclude con queste parole: quando trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata nella mia vita /come un abisso.

La concezione di una poesia che si libra tra buio (angoscia esistenziale) e luce (parola-rivelazione dell’Essere) sta alla base di un discorso dialettico ancora oggi sentito profondamente dagli autori nonché dai critici e dai lettori.

Lo stesso Montale, anche quando dice “non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe……………………………………………. “non domandarci la formula / che mondi possa aprirti/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo………………………..seppure con l’anafora “non”, che manifesta la concezione di una teologia cosiddetta negativa, affida alla parola poetica l’unica possibilità di conoscenza metafisica e di rivelazione dell’Essere.

Più tardi lo stesso Montale dirà in (E. Montale- Sulla poesia- Mondatori 1971.) “Che cos’è una poesia lirica? Per conto mio non saprei definire quest’araba fenice, quest’oggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile, questa strana convivenza del ragionamento e dello sragionamento”.

Questa breve e sommaria premessa sui caratteri generali della poesia contemporanea ha un senso nel nostro discorso in quanto, dovendoci apprestare a trattare della lettura del testo poetico, ci sempre opportuno, sia pure nelle linee generali, comprenderne gli elementi essenziali costitutivi per procedere poi ad una corretta forma di indagine interpretativa.

Nel leggere un testo poetico, infatti, dobbiamo tenere presente il suo “dominante”, che spesso si basa un linguaggio potenziato al massimo e che nella sua natura può essere musica, canto dell’anima ed al contempo sublime forma di conoscenza dell’uomo e del mondo.

Sarà necessario cogliere nella parola il segno che è alla base dell’inventività lirico-fantastica dell’autore.

Seguendo i precetti di Mukarovsky dobbiamo rapportarci alla poesia cercando di interpretarne il valore, che le è proprio e che è quello di “raggiungere e colpire gli strati più profondi della spiritualità”.

Lo stesso M. afferma che il lettore di poesia ai fini di un’interpretazione omnicomprensiva della medesima “deve superare i limiti del sempre mutevole contesto storico” in quanto “l’opera poetica non si rivolge soltanto ad una personalità dello stato determinato della società, bensì a ciò che nell’uomo è generalmente umano”.

Seguendo la tesi dello studioso cecoslovacco ci appare chiaro che il lettore per una compiuta analisi del testo narrativo deve ricorrere a componenti extratestuali che possono essere significativi per la comprensione globale della poesia, che include in sé molti valori di carattere esistenziale, morale, sociale.

Bisognerà, pertanto, attribuire una specifica connotazione alla parola intesa come segno ( parola-atto che rivela un certo modo di essere o una manifesta una certa disposizione d’animo attestandosi come cifra poetica assoluta).

Il linguaggio poetico è diverso da quello usato dal comune linguaggio in quanto è per sua natura estetico.

Il segno nel testo poetico è ipersegno in quanto non si racchiude nei soli significati, ma nasce, come dice M. Corti (M.Corti- Principi della comunicazione letteraria- Bompiani 1971-p.21) “.nell’interazione dinamica di tutti gli elementi del discorso, interazione attivata da fattori metrico-ritmici decisivi per la genesi della poesia stessa”.

Il segno poetico, allora per sua stessa natura, è polisemico e spesso, come afferma Greimas (Greimas. Del senso, Milano, Bompiani, 1974, pag.290) “crea naturalmente l’isotopia, che è un insieme ridondante di categorie semantiche che rende possibile  la lettura uniforme di un testo”.

I due elementi che  formano un’isotopia sono semanticamente omogenei

Addiciamo alcuni esempi.

Si consideri la poesia di E. Montale  “Spesso il male di vivere ho incontrato”

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia

era l’incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato..

Il primo sema (male di vivere) si specifica nell’espressione, alla quale corrispondono tre simboli-metafore il rivo strozzato, che gorgoglia, l’accartocciarsi della foglia, il cavallo stramazzato.

Nella struttura della poesia, che per sua natura tende all’immaginario, prendono rilievo, inoltre, alcune forme archetipo-simboliche che si presentano variamente semantizzate nell’universo particolare dei poeti. Es. aria, fuoco, terra, sole…….motivi ricorrenti e rivisitati nelle forme esistenziale dell’io individuale dei poeti. Ricordiamo a proposito del sole Foscolo all’inizio dei Sepolcri vv.3-5 “Ove il Sole /per me alla terra non fecondi questa /bella famiglia d’erba e d’animali……………e la chiusa del Carme che riprende in forma di isotopia la figura del sole “finchè il Sole splenderà sulle sciagure umane

Considerata la complessità che l’analisi del testo poetico comporta ci apprestiamo  ai fini anche di una maggiore efficacia didattica a  presentare una griglia  di analisi di testi poetici.

 

Griglia di analisi dei testi poetici

 

  1. A.   INVENZIONE

 A. 1  Tematica

-la poesia ha un andamento prevalentemente narrativo, o descrittivo, o espressivo di stati d’animo? Se diversi di questi aspetti sono presenti, in quali rapporti stanno fra loro?

-quale spazio rispettivo hanno sentimenti, immagini, concetti? In quali rapporti stanno fra loro?

-i motivi hanno un valore simbolico?

-è implicata, e come la dimensione temporale dell’esperienza?

 

A.2 Realtà ed immaginazione.

-la poesia si riferisce a situazioni verosimili o ad un mondo immaginario? o fonde il reale con l’immaginario?

 

A.3 Le immagini, definito ed indefinito.

-predomina una visione percettiva (visiva, uditiva  etc.)

-prevale una chiara scansione delle immagini o un loro avvicendarsi irrazionalmente?

B.   DISPOSIZIONE

-il tema della poesia è uno e semplice, o si articola in diversi aspetti e momenti?

-si ha un tono uniforme o una varietà di toni espressivi?

-si può riconoscere che armonizza diversi temi e toni?

 

ELOCUZIONE

 

C.1 Sintassi

-prevalgono periodi lunghi o brevi?

–         c’è una presenza notevole di frasi nominali?

 

C.2 Varietà linguistiche

-il lessico è usuale o ricercato?

-come si collocano le scelte linguistiche del poeta rispetto alla lingua poetica tradizionale e ai linguaggi dell’uso comune?

 

C3 Figure retoriche

-quale rilievo hanno le metafore e le figure retoriche? Sono figure usuali o particolarmente originali?

-le figure servono ad arricchire il l’espressione o costituiscono la sostanza stessa del discorso?

-è possibile distinguere un senso letterale e uno figurato, oppure essi sono completamente fusi?

 

C.4 –si riconosce la ricerca di particolari effetti sonori ottenuti con l’allitterazione e con altre “figure di parole” o comunque con l’insistenza di timbri specifici?

 

D. METRICA

 

D.1 Schema metrico

-il metro è tradizionale o libero?- come si pone il poeta rispetto alla tradizione metrica?

 

E. INTERPRETAZIONE E COMMENTO

 

E.1  Interpretazione complessiva.

–         tra gli aspetti considerati, quali appaiono dominanti e caratterizzanti?

–         Quale  intento espressivo fondamentale si può attribuire all’autore? (esprimere uno stato d’animo, creare un’opera bella fine a se stessa, sostenere una tesi ideale o morale, continuare o contestare una tradizione letteraria.

E.2  Contestualizzazione storica

-ricorrono nel testo indizi significativi della personalità dell’autore, della sua poetica, del contesto culturale e letterario in cui ha operato?

E.3  Attualizzazione

-per quali aspetti il testo può essere significativo ed interessante per il lettore di oggi?

 

 

La narratologia

 

La narrativa è tra i generi che nel tempo hanno acquistato sempre una grande popolarità. Gli antichi la identificavano con la fabula per quel misto di realtà e finzione che questo genere letterario comprende

 La sua tradizione si è diffusa largamente nel tempo ed accanto ad una tradizione scritta  vanta una gloriosa tradizione orale.

Molti miti tramandati dall’età classica fungono ancora da archetipi alla narrativa moderna.

E mentre l’epica coincide con le origini letterarie (in Grecia, a Roma, in Francia, in Italia…) le altre forme narratologiche si affermano nel tempo con lentezza. Il romanzo appare in Grecia non molto prima del II secolo e veniva considerato un genere minore.

 Tuttavia anche prima della nascita del romanzo se ne possono rinvenire prototipi sempre in Grecia nella storiografiae nella biografia.

Il romanzo, invero, come l’epica contiene un patrimonio di testi trasmessi oralmente come le fiabe.

Al romanzo si affianca il racconto, che si differenzia dal primo per la brevità della durata.

Tuttavia questa distinzione non sempre è reale in quanto il romanzo può essere costituito da una serie di episodi e può ospitare al suo interno veri e propri racconti ( si prenda ad esempio la fabula milesia nell’Asino d’oro di Ovidio.)

Il romanzo, inoltre, presenta maggiore libertà di forme espressivo-inventive rispetto all’epica e alla tragedia che sono legate al canone ed ad un preciso registro linguistico-formale.

Nel romanzo un comune denominatore può riscontrarsi  nella ricorrenza a certe strutture e a meccanismi narrativi.

Tuttavia anche questi aspetti prevalenti nel romanzo sino all’Ottocento non sono più validi nella narrativa novecentesca.

La crisi ideologico-esistenziale dell’uomo del ‘900 ha fatto sì che un romanzo moderno può essere al contempo tragedia, commedia od anche epica ed elegia. (es. I Giganti della Montagna di   L. .Pirandello).

Dovendo analizzare i testi narratologici da quelli mitologici a quelli propri del romanzo, della tragedia e della commedia occorre individuare alcune componenti strutturali costanti

La prima costante, di cui ci occupiamo all’interno del testo narratologici, è quella costituita dal binomio storia-discorso.

.Fondamentale è nello sviluppo narrativo, infatti, la storia. Nella tecnica narrativa tuttavia esistono delle anacronie rispetto al tempo reale delle vicende narrate. Sull’argomento i Latini avevano definito i termini del tempo distinguendo la sequenzialità temporale della fabula in ordo naturalis (la reale successione degli eventi) ed in ordo artificialis  ( la sequenza temporale secondo la disposizione artistica).

Per realizzare nella narrativa questa ordo artificilias l’autore nella narrativa ricorre a  due procedimenti stilistici 1) analessi: evocazione di eventi anteriori in cui si trova il racconto.

2) prolessi:  anticipazione di un evento futuro.

Occorre adesso puntualizzare il modo con cui il narratore seguendo la sua inventività artistica ci presenta la storia da narrare ed il suo svolgimento.

Se il narratore  è ommnisciente (colui che conosce tutto ed anche l’universo  dei pensieri e dei sentimenti dei suoi personaggi) adotta  un punto di vista non focalizzato ( superiore ed  esterno alla vicenda che tratta.).

Il narratore, invece, cosiddetto scienziato, che assume la visione e la coscienza limitate del personaggio, che in una determinata struttura antropologico-sociale sembra “farsi da sé”(cfr: Verga), adotta la  tecnica della focalizzazione interna.

Nel ‘900, infine, l’autore ha sentito viva l’esigenza di porsi all’esterno di tutti i suoi personaggi, non assumendo l’ommniscienza, anzi professando di sapere meno di loro. In tal caso si limita a registrare  gesti, discorsi e sia l’azione che i personaggi sono sempre in fieri ed assumono una loro autonomia, che si svela altresì  nelle forme dialogico-discorsive.(è questa la ragione perché molta critica recente identifica lo stesso personaggio con l’atto linguistico). Siffatta tipologia narrativa si snoda con sequenze che seguono talora le modalità della scrittura filmica. E’ il caso dei romanzi maggiori di Pasolini.

La tecnica adottata dallo scrittore è in questo caso quella della focalizzazione esterna.

I tempi e gli spazi della storia si articolano attraverso la fabula (che potremo chiamare anche traccia) e l’intreccio che è per così dire la forma della trama, l’ordine particolare degli avvenimenti del racconto, le interrelazioni sussistenti tra fatti e personaggi attraverso l’assiologia spaziale-temporale.

Tempo e spazio sono nel racconto messi in stretta relazione con la situazione introspettivo-psicologica del personaggio e della vicenda nella quale si muove.

Attraverso l’assiologia spaziale-temporale possiamo invero non solo comprendere il senso profondo della storia e dello stato psichico-emotivo del personaggio, ma anche interpretare la Welthaschauung dell’autore ed individuarne il messaggio.

Secondo il Lotman gli assi spaziali possono articolare grandi discorsi metafisici..

 Dante, per esempio, inizia il suo cammino attraverso la selva oscura, cui fa riscontro il buio (l’assenza del bene) per poi ascendere nel Purgatorio.che si conclude in vetta  nella divina foresta del Paradiso. terrestre.

Il terzo momento è rappresentato da una spazialità luminosa che si conclude nell’Empireo in una sublimazione mistica della “candida rosa”.

I tre referenti: selva, foresta, rosa sono elementi paradigmatici dell’itinerario  del peregrino Dante dal mondo della perdizione a quello della salvezza.

Altre volte gli assi temporali-spaziali possono essere interpretati in relazione al personaggio ed al suo ambiente in senso strettamente antropologico-sociale ed esistenziale. E’ il caso di Rosso Malpelo di G.Verga.

 Così scrive al riguardo A.Marchese. “ Il testo letterario- S.E.I- 1994 -pag.163. “In Rosso Malpelo il sistema spaziale è articolato con doppia opposizione semica.

                                 SPAZIALITA’

Degli altri

CASA

====sopra======

 azzurro –turchino-mare

 Cielo, mare, campagna ==============aperto

 

SPAZIALITA’

Dell’eroe

CAVA

===sotto==============================rosso-nero

Sottoterra

Chiuso

 

Lo spazio dell’autore è quello sotterraneo e chiuso della cava e del mondo inferico; lo spazio degli altri, superiore e aperto, si visualizza nelle case, nel cielo, nel mare e nella campagna.(con i suoi colori vivaci contrapposti al lugubre buio delle gallerie e al rosso della rena traditrice). La costruzione tipologica, in questo caso, va oltre la sfera della pura descrizione e della stessa diegesi, in quanto tocca i livelli profondi, assiologici ed esistenziali del protagonista, i suoi rapporti con gli altri personaggi e con la natura: l’intreccio dei codici ha per effetto una complessa metamorfosi del senso narrativo.”

Ci siamo accorti che alle tecniche narrative corrisponde una diversa visione della vita dell’autore che è sempre legato all’humus storico-sociale del suo tempo.

Ne deriva conseguentemente che anche la tipologia del personaggio varia nel tempo-

La fondamentale distinzione tra figura del personaggio  quale ci appare sino all’800  e quello contemporaneo  viene formulata dal Foster nel 1927:  Fino all’Ottocento, nota lo studioso, prevaleva nel tessuto narrativo dell’autore come tipologia del personaggio l’“homo fictus, mentre nel Novecento prende campo la figura dell’“homo sapiens”.

Con homo fictus si rappresenta il personaggio ideale proposto dall’autore omnisciente ( es.I Promessi Sposi di A.Manzoni).

L’homo sapiens, invece, si contrappone all’homo fictus  e come il suo stesso etimo propone  (dal latino sapere) prende vita e corpo in relazione con la reale vita, con le vicissitudini che percorre e si costruisce autonomamente anche attraverso forme diaologico-discorsive  tutte proprie.

Dall’epica antica all’’800 la parabola del personaggio è stata raffigurata dall’“homo sapiens”, costruito dall’autore omninisciente e modellato secondo archetipi universali.

Col mutare del tempo e con l’avvento delle concezioni filosofico-probabilistiche del ‘900 all’homo fictus, costruito a tutto tondo dall’autore e riconducibile a valori paradigmatici, si contrappone l’uomo-particella (homo sapiens) che vive nei frantumi dell’Essere e che ha una vita indefinita e che spesso rappresenta per il lettore un alter ego da interrogare nelle sfaccettature del suo divenire, del suo farsi personaggio, del suo atto comunicativo-linguistico.

 

Il discorso 

 

La peculiare attenzione dei narratori novecenteschi volti ad interpretare il reale fenomenico in una dimensione  del tutto antroplogico-esistenziale ci induce a sviluppare il secondo aspetto del binomio necessario e sottostante ad ogni processo di scrittura narrativa, di cui abbiamo innanzi detto: “Storia  e discorso”. Volendoci soffermare su quest’ultimo e, seguendo le indicazioni teoriche proposte da Bachtin, possiamo affermare che la narrativa contemporanea è un fenomeno pluristico, pluridiscorsivo, plurivoco.

Col termine pluristico intendiamo una mescolanza di unità stilistiche interagenti su differenti piani della lingua.

Con la denominazione pluridiscorsivo invece vogliamo significare una stratificazione sociale del linguaggio  (dialetti, gerghi…modi di dire) che comunica al lettore una ricca dialettica ideologica.

Infine diamo al discorso l’accezione “plurivoco” in quanto l’autore si propone di dare voci a più persone che appaiono in palese contrasto sul piano sociale ed anche sul piano psicologico-esistenziale. ( FenoglioIl partigiano Jonny).

Sempre secondo Bachtin approdiamo ad una forma di dialogia, in cui si trascrivono i conflitti, le diversità della vita e dei personaggi con una scrittura reale.

Ed è proprio in virtù di queste risorse linguistiche e delle nuove invenzioni tecniche e stilistiche che la narrativa, oggi, superati gli schemi di una cultura borghese e comunque distante dal popolo, attraverso la sua metamorfosi ci propone illusioni ed allusioni, miti e simboli di una realtà che deve essere compiutamente trascritta dall’autore ed interrogata dal lettore.

 

Le forme del discorso narrativo

 

a)      discorso narrativizzato o raccontato ( è l’autore che gestisce il discorso e parla a nome dei personaggi).

b)       discorso trasportato in stile indiretto (conserva la presenza del narratore, che cita però a suo modo le parole dei personaggi.

c)      discorso riferito o diretto ( il narratore riferisce direttamente le parole del personaggio.)

d)      soliloquio (presente soprattutto nel teatro- il personaggio medita- su se stesso; può

avere un carattere di confessione e comunque di introspezione psicologica spesso con accentuazioni di livello lirico.)

e)      monologo interiore (presente in Svevo: una forma di autoanalisi attraverso cui il lettore entra direttamente a contatto con la vita interiore del personaggio).

f)        flusso di coscienza: si distanzia dal monologo interiore in quanto contiene una forma di alogicità, che si rinviene anche  nell’uso asintattico dell’espressione, che propone una serie indistinta di immagini, sensazioni e pensieri che emergono dagli strati più profondi dell’inconscio. (cfr. il flusso di coscienza nell’Ulisse di Joyce, nel quale le parole non seguono alcun ordine logico, ma connotano solo i perturbamenti del personaggio; persino la punteggiatura viene abolita.)

Per quanto concerne i livelli narrativi ed il rapporto tra narratore e storia riferiamo quanto viene illustrato da A. Marchese (Il testo letterario op.cit. a pag166 )  “ I livelli narrativi si manifestano quando il narratore di primo grado (o diegetico) cede la parola a un personaggio, che diventa narratore di un racconto di secondo grado (o metadiegetico). Il narratore di primo grado è detto esxtradiegetico (è fuori dalla storia), quello del racconto secondo è detto intradiegetico e non può che rivolgersi ad altri personaggi del racconto primo: è il caso di Ulisse davanti ai Feaci o dei giovani personaggi-narratori del Decameron, responsabili dei cento racconti metadiegetici. (il racconto di primo grado è la cosiddetta cornice).”

Quanto al rapporto fra il narratore e la storia si distinguono due tipi di racconto.

 Il primo è eterodiegetico con narratore assente nella storia raccontata, (il narratore-autore Omero, Manzoni nei Promessi Sposi), il secondo (omodiegetico) con narratore presente nella storia raccontata

.La presenza del narratore ha delle gradazioni, per cui l’omodiegetico si distingue in due varietà (autodiegetico e allodiegetico a secondo che il narratore sia protagonista della storia, come Mattia Pascal, o semplicemente un testimone come Moby Dick.”

 

La metamorfosi della narrativa nel Novecento

Principali teorie letterarie

 

Nel Novecento si pone in discussione il concetto di letterarietà intesa in senso classico della narrativa e parimenti si focalizza il discorso sugli innovativi stilemi linguistici, che configurano la cosiddetta “lingua antiletteraria”, che per gli scrittori coevi rappresenta al contempo l’unico modo possibile per trascrivere ed interpretare il reale fenomenico nonché per dare voce autentica ai personaggi.

Come fa rilevare Pratt “molti elementi che gli studiosi hanno giudicato costitutivi della “letterarietà”  nel  romanzo non sono affatto letterari, comparendo nei romanzi non perché romanzi (letteratura) ma perché questi elementi appartengono ad una categoria più generale di atti linguistici: in questo caso la categoria della narrativa”.

E mentre nel ‘900 si afferma la nuova forma narratologica del romanzo si evidenzia sempre più la differenza tra il concetto classico di epica e la moderna accezione di romanzo e si pone in risalto l’opposizione dell’eroe positivo dell’età classica a confronto con l’eroe  (il più delle volte eroe negativo)  e/o il personaggio del quotidiano nella cultura narratologica contemporanea.

L’epica, in effetti, che si era originata in età preistorica prima ancora della scrittura ha un suo canone, un suo archetipo determinato.

Il romanzo, in particolare quello moderno, non ubbidisce  a nessun canone

. Nel mondo dell’epica è raffigurato il passato eroico che spesso è stato interpretato nella tradizione letteraria come paradigma della gloria della storia nazionale.

Il mondo degli eroi, pertanto, ci appare a livello assiologico-temporale inaccessibile, separato da una distanza epica.  Anche il linguaggio in tal caso deve ubbidire   ad un canone preciso di registri linguistici.

Come, invece, abbiamo avuto modo di osservare gli assi temporalesapziali nella narrativa novecentesca non rimandano ad alcun canone o ad alcun archetipo prestabilito.

Spazio e tempo si configurano in una realtà  fenomenica legata all’esistente e al quotidiano.

In questa cornice anche la lingua come il personaggio hanno una storia mutevole e sempre in divenire, corrispondente al vissuto della propria esperienza modellata dall’invenzione personale dell’autore.

E’ da sottolineare, però, che il dibattito culturale promosso nel ’900  ha un carattere bipolare.

Se da un lato, infatti, gli scrittori e i teorici della letteratura tendono a definire il loro modo diverso di “fare letteratura” e la distanza che li separa dal mondo della tradizione classica, dall’altro non rinnegano il passato, anzi lo comprendono adattandolo al loro tempo attraverso il ri-uso di miti (L. Pirandello- I Giganti della Montagna– Joyce.-Ulisse) e la rivisitazione di tutte le svariate forme letterarie precedenti.

Nasce, allora, l’esigenza di una nuova codificazione dei generi letterari e nel campo propriamente teorico insorge un’innovativa concezione del realismo omnicomprensivo del mondo artistico anche in senso diacronico.

E parlando di realismo nell’ottica della critica contemporanea non possiamo che ricondurci  alle teorie proposte in merito da Auebarch, che ci apprestiamo ad enunciare sommariamente nelle linee generali.

 Lo studioso ricusa la teoria antica degli stili,  secondo la quale. la realtà quotidiana doveva essere letterariamente trascritta entro la cornice di uno stile umile e medio per approdare infine ad “una forma grottesca e comica oppure di divertimento leggero ed elegante” e stigmatizza il fatto che “Stendhal e Balzac, facendo oggetto di rappresentazione seria, problematica, o addirittura tragica, persone comuni della vita quotidiana, condizionate dal tempo in cui vivevano, infransero la regola classica dei livelli stilistici.”

Lo sguardo del teorico della letteratura tende però a spingersi oltre ed è proteso a  scrutare nella sua globalità il processo diacronico del fenomeno letterario. I suoi principi, per maggiore intelligibilità sul piano didattico, possono essere compendiati  in questi aspetti fondamentali

1)      le barriere concernenti la separazione degli stili sono abbattute nell’età del Romanticismo.

2)      le barriere che imponevano una netta separazione degli stili permangono negli autori che sono seguaci di una rigida imitazione delle letterature antiche verso la fine dei secoli XVI e XVII.

3)      Nel Medioevo ed anche nel Rinascimento si era avuto un realismo serio. La poesia come le arti figurative rappresentavano il reale anche con tono serio e grave e pertanto la teoria dei livelli stilistici non aveva nessuna validità generale

4)      .Con il Cristianesimo si ha il primo superamento delle leggi stilistiche. “ La prima breccia nella teoria del mondo classico risale proprio alla fine del mondo antico e fu la diffusione del Vangelo…………fu la storia di Cristo con la sua spregiudicata mescolanza di realtà quotidiana e d’altissima e sublime tragedia”.

Le teorie proposte da Auebarch sono illuminanti  sia per quanto riguarda il principio degli stili, sia per la nuova visione del realismo, che lo studioso chiama figurale, e la cui ideologia trasferita sul piano della metodologia critica, ci ha dato e continua a darci la possibilità di leggere le opere letterarie di ogni tempo ed in particolare  la  Commedia di Dante in forma del tutto originale e con convincenti esiti ermeneutici.

Ci pare doveroso, però, dopo aver orientato la nostra attenzione proprio sulla categoria estetica del realismo, quale ci viene proposta da A., enucleare la sostanziale differenza tra realismo medievale e realismo moderno. Il concetto viene chiarito  dallo stesso critico.

Auebarch, infatti , precisa che c’è una netta distinzione tra il realismo medievale e quello moderno.

Infatti ogni fatto che avviene nella terra, secondo il realismo medievale, è anticipazione di un evento futuro e la connessione e la successione degli avvenimenti sono considerati non casualmente, ma preordinati dal volere divino. Anche i personaggi e  le istituzioni del mondo primigenio o classico sono visti come “figure”, anticipazioni del mondo escatologico- divino.

Nell’esegesi cristiana Adamo, infatti, è una “figura” di Cristo ed Eva della Chiesa e lo stesso impero universale romano figura” di Dio.

Il realismo moderno, nota Auebarch, invece, oltre alla gerarchia stilistica si contrappone alla concezione figurale del Medioevo letterario in quanto immerge la rappresentazione proprio nel reale storico, nel quotidiano, che si snoda con l’esperienza vissuta e che non ha nessun nesso di causalità con paradigmi universali .

Se Auebarch sviluppa in maniera originalissima la teoria degli stili, Bachtin, rifacendosi all’analisi  morfologica russa, fonda la sua attenzione non su un principio di teoria letteraria, bensì su un fenomeno di carattere antropologico-sociale: il carnevale.

Il carnevale è uno spettacolo, infatti, che non ha regole precise; non vi è distinzione tra esecutori e spettatori (nell’interpretazione del testo narrativo contemporaneo si intende abolire altresì la distanza tra autore e lettore), tutti prendono parte all’azione (tutti quanti gli esseri umani e a qualunque stratigrafia sociale appartengono hanno diritto di cittadinanza nell’universo letterario della narrativa contemporanea).

 Nel carnevale, inoltre, puntualizza sempre Bachtin non si recita, si vive (l’identità letteratura-vita è uno dei presupposti fondamentali di tutta quanta la letteratura novecentesca.).

Il carnevale, inoltre, propone l’abolizione di tutte le regole (nell’ambito letterario vale a dire l’abolizione di tutte quelle norme di ordine retorico e stilistico che spesso erano deformanti nella rappresentazione della realtà o dell’autenticità dell’esperienza vissuta e/o comunicata dal personaggio).

La vita carnevalesca è peraltro una vita “all’incontrario” e “al rovescio” (si allude al rovesciamento di tutte le categorie estetiche e della gerarchizzazione nell’ambito sociale.)

Conseguentemente Bachtin può concludere affermando che nell’epoca moderna la carnevalizzazione della letteratura si riflette nel romanzo, nonché in tutte quelle esperienze che

realizzano la mescolanza degli stili, dei generi, contrapponendo alla tradizione gerarchica, fissata in rigidi schemi classicistici e statici caratterizzanti la cultura ufficiale, un dinamismo di forme letterarie aperte alla “dialogicita”, ad un discorso pluralistico, plurivoco aperto a tutte le stratificazioni sociali.

Il concetto del carnevale nella sua  trasposizione nel campo della teoria della letteratura, non assume, però, soltanto la connotazione ludica di parodia, comprende un polisenso che dalla sfera del tutto psicologica ed umana del singolo personaggio si allarga ad un contesto antropologico-sociale ben più ampio.

E se invero con il concetto di carnevalizzazione della letteratura e, particolarmente con la visione della vita, “all’incontrario” e di un “mondo alla rovescia” possiamo esemplare l’emancipazione delle classi europee dopo il tramonto dell’aristocrazia, non sembra che la  gioiosa  festa arrechi sempre il sorriso ed infonda ottimismo; anzi lo stesso polisenso della mescolanza e della mancanza dell’ordine appaiono come i segni della problematicità esistenziale e della lacerazione dell’io, di cui tanta parte della migliore letteratura novecentesca è stata e continua ad essere rivelatrice ed appassionata interprete.

 

 

 

 

 

 

 

Il concetto di “complessità” e la scuola

La nozione di “complessità” rappresenta un aspetto peculiare della scuola contemporanea.
Per alcuni studiosi il concetto di “complessità” assume una connotazione del tutto nuova dopo il disfacimento del modello di scienza galileiano, newtoniamo e cartesiano.
E’errato, però, pensare che questo termine emblematizzi oggi una forma conoscitiva del tutto nuova e non rapportabile con il passato.
Invero i grandi fondatori della scienza occidentale (Galileo, Newton) intendevano, nel sottolineare le leggi della natura, creare schemi logico-concettuali omnicomprensivi riferibili alla sfera conoscitiva e quindi traducibili nell’ambito dell’ “experentia in re et in studio”.
E’ chiaro che ogni processo filosofico sottende un’ottica didattico-culturale ed apre sempre nuovi orizzonti nello specifico campo pedagogico.
Il concetto di complessità era, senz’altro, presente nei Greci con la concezione dell’epistème, una conoscenza coerente e completa, che rimandava, però, ad un principio ideale essenziale ed unitario.
La scuola di Platone e di Aristotele, in seguito, dominò lo scenario filosofico e quello pedagogico nelle strategie didattiche.
Nell’ambito gnoseologico ed in quello didattico, tuttavia, apparivano i due mondi quello umanistico e quello scientifico separati entro una rigorosa struttura categoriale.
Il concetto moderno di “complessità”ricusa, decisamente, come vedremo questo principio.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che la scuola odierna, ponendosi come obiettivo il concetto della “complessità”,  accoglie la lezione dei Greci.
Gli antichi pensatori, infatti, fondavano la loro conoscenza nella relazione tra l’“existentia rerum” ed una struttura ben delineata che era tutto il mondo conoscibile.
Appare evidente che il concetto di “complessità” come momento esistenziale e come forma di conoscenza era fondante nel mondo classico, ancor più che negli scienziati del mondo moderno, che forse avevano sottovalutato quest’aspetto privilegiando la determinazione assoluta delle leggi nei limiti di uno scientificismo talora ridotto a modelli meccanicistici.
La contemporanea epistemologia rifiuta l’impostazione scientificista e si pone ad affrontare il discorso della “complessità”, che trova una pluralità di implicanze nella sfera didattica ed in quella amministrativa ed organizzativa della scuola.
Le domande fondamentali, che oggi ci poniamo nella scuola sono queste:
1.     Riteniamo, forse, che eventuali difficoltà di comprensione sono soltanto da attribuire ad un minor grado di competenza delle nostre informazioni, delle abilità logiche e di apprendimento dei discenti?
2.     “Consideriamo alcune indagini conoscitive “complicate” e comprensibili soltanto ad un pubblico di eletti e/o privilegiati, ovvero patrimonio soltanto di “intellettuali stereotipati” o dominio esclusivo dei docenti?
3.     La conoscenza intesa come “fenomeno complesso” può essere definita in schemi e/o categorie dai “teorizzatori” del sapere ovvero deve essere sempre possibile e rivisitabile da tutti i soggetti educandi, che devono interagire con la realtà stessa per esprimere in modo autentico il loro modo di vedere il mondo e la complessità delle sue forme e strutture?
4.     In che modo bisogna ridisegnare gli strumenti didattici e quelli organizzativi della scuola per una conoscenza non “complicata”, ma “complessa” e fruibile da tutti i discenti? 
A questi interrogativi cercheremo di dare una risposta, sia pure in maniera sommaria nel corso del nostro discorso.
Il concetto di “complessità” nella scuola, oggi, invero, ripropone il modello classico.
Si tende, infatti, a rimuovere tutte le certezze incrollabili di un tempo per porsi con problematicità dialettica ad indagini conoscitive, che nel campo didattico indulgono oltre al concetto di osservazione e di esperimento, in senso puramente cognitivo, ad una forma esplorativa dell’“io” del discente, atta a proporre non una verità assoluta, ma un “discorso intorno alle cose”
E il“discorso intorno alle cose”, nella scuola odierna deve abbracciare un orizzonte globale, in cui si rifletta la società contemporanea.
 E’ appunto per questo che la nozione di complessità oggi costituisce il fulcro delle scienze umane e della pedagogia contemporanea.
Dewey aveva stigmatizzato il divario tra dinamica dei bisogni individuali di sviluppo ed offerta culturale del sistema scolastico nelle forme di sapere codificato.
La preoccupazione di Dewey, oggi, si presenta ancor più incombente in quanto la moderna società computerizzata presenta più ampi scenari nell’ambito tecnico-informativo, indifferibili per la conoscenza e per le strategie didattiche.
Nel concetto di “complessità”, inoltre, s’innesta la nozione di “rottura della simmetria”, cara alla precedente letteratura pedagogica.
Tuttavia la “rottura della simmetria” non parte dal caos, e, se questo si genera, è per creare un nuovo equilibrio tendente a percorrere nuovi itinerari per una conoscenza omnicomprensiva e rispettosa del concetto di “complessita”, secondo l’accezione attuale.
La lezione derivante dal concetto di “complessità” si traduce nella didattica come promozione di un’intelligenza creativa, che verso un sapere di frammenti rinviene l’ordine ed in ultima analisi costituisce il senso stesso dell’atto conoscitivo.
Il “complicato,” di per sé statico, allorquando si adisce ad una conoscenza completa di tutti gli ingranaggi, che la materiano, diventa “complesso” e pertanto problematico e dialettico.
 
·        La definizione dei termini di conoscenza e di competenza riferibili al concetto di “complessità” illustratati dal “Dossier pubblicato dagli Annali della Pubblica Istruzione- per la discussione del gruppo di lavoro del sottoprogramma 9.2 del Progetto Chance-a cura di Cesare Moreno-Napoli-20 novembre 2000”
 
Nel documento leggiamo: “la conoscenza riguarda i concetti,quindi la dimensione intellettuale e cognitiva della mente umana. La conoscenza concettuale presuppone idee chiare e distinte e quindi pensiero lineare e sequenziale. La forma  tipica dell’esposizione della conoscenza è quella del discorso……….il suo supporto tipico è quello del libro………..la tipologia più tipica è quella della lavagna e del gesso. Le  conoscenze per essere chiare e distinte dai contenuti affettivi e relazionali, delle particolarità  dell’oggetto, delle pertubazioni ambientali ed in altre parole sono decontestualizzate. Gli attributi della conoscenza sono quindi chiarezza e distinzione, linearità, sequenzialità e decontestualizzazione”[1]
Sempre “infra”” al documento  al concetto di conoscenza, inteso in senso classico, si contrappone la nozione di “competenza” riferibile alla contemporanea semantica epistemologica del termine di “complessità”. Così si legge “La competenza…….rappresenta la complessità, l’intreccio con componenti affettive e relazionali, la sensibilità alle variabili di campo…..” E si conclude affermando “le competenze sono le conoscenze nel contesto o nel campo d’azione……….la competenza è per definizione complessa…………”[2] Alla luce di questi convincimenti si delineano nuove prospettive ormai inderogabili nel campo didattico.
Accanto al libro ed agli strumenti adsueti si deve associare una tecnologia educativa, che è quella del “laboratorio”, delle “pratiche condivise”, dell’“apprendistatato”.
Ne consegue che, sempre nell’ottica del concetto di “complessità”, la pedagogia delle competenze è radicalmente distante dalla pedagogia delle conoscenze e comporta anche una ristrutturazione didattico –organizzativa promossa nelle competenti sedi dal dirigente scolastico in sintonia con tutti gli organi scolastici.
Gli elementi costitutivi della didattica, centrata sulla nozione di “competenza” nel rispetto del concetto di “complessità”, enunciati nel Dossier preso in esame sono i seguenti :
·        Impostazioni necessarie a decantare le esperienze di conoscenze disciplinari (criteri di valutazione)
·        Impostazioni necessarie a mediare tra conoscenze disciplinari e problemi relazionali.( attività territoriali-metodo Chance).
·        Impostazioni necessarie a conseguire le competenze. (laboratorio inteso come progetto).
Per quanto attiene alle competenze e alla valutazione, nell’ottica della didattica della “complessità”, il dirigente scolastico in simmetria con i competenti organi deve definire le modalità proponibili e più efficaci per i processi apprenditivo-cognitivi e i criteri di valutazione, senza, però, interferire con la creatività e la progettualità, relativa ai contenuti e alle metodologie.
Precipua attenzione del dirigente scolastico deve essere rivolta nel promuovere e coordinare, isocronicamente con tutta la comunità scolastica, il quadro delle competenze per rendere esplicito il criterio di valutazione.
Il che, non deve, però, determinare né i contenuti, né le scelte didattiche.
Le finalità, cui deve tendere la scuola odierna nella “complessità” del suo aspetto multiforme in una società pluralistica e multiculturale sono, inoltre:
·        Formare abilità e competenze che siano socialmente utili.
·        Equilibrare i modi dell’apprendimento formale con quelli dell’apprendimento informale.
La didattica della “complessità” avrà, allora, la funzione primaria di dare all’azione educante, secondo le più accreditate recenti teorie pedagogiche senso, coerenza, praticabilità.
 Utilizzando una semantica moderna si potrà, allora, parlare di capitalizzazione delle varie esperienze d’istruzione, comprensiva di tutti i processi di educazione e formazione, che ciascun soggetto educando riesce a fruire.
 Il Dossier, preso in esame, inoltre, ammonisce che nella scuola, che amiamo definire della “complessità”, si deve sostituire lo strumento della selezione con quello dell’“orientamento”. E noi condividiamo certamente questo principio e nel rispetto, sempre, del concetto di “complessità”, sia pure, con la dovuta deferenza ai Latini, ci permettiamo di apportare una variatio all’antico motto: “Non scholae, sed viate discimus” con “ Schola se ipsa  vita est”, convinti come siamo, dell’inscindibilità del binomio vita- scuola nella complessità di tutte le sue forme.
  In quest’ottica, inoltre, la didattica, deve farsi scienza ingegneristica, costruttiva di percorsi metacognitivi (l’imparare ad imparare) e fantacognitivi  (l’imparare a trasfigurare).
Seguendo questi principi la logica del sistema scolastico, alla quale si deve rapportare il dirigente scolastico, è quella della generalizzazione articolata e non gerarchica,  nella quale la didattica della “complessità” assume il ruolo fondamentale.
La nuova organizzazione della scuola, a cui fa capo il dirigente scolastico, deve attuare l’istituzione educante come luogo di vita, in quanto luogo di esperienza, di approfondimento e di studio di problemi, che si ritengono significativi per i soggetti che li affrontano.
La scuola della “complessità”, in altri termini, come lo stesso documento precisa “non è il luogo dove è dato un curricolo, ma è il luogo, dove si costruisce un curricolo come percorso di vita.”[3]
Premesso quanto innanzi enunciato, insorge spontaneamente una domanda: Quale compito primario è affidato al complesso mondo della scuola e al dirigente scolastico in particolare nella specificità delle sue competenze? “In primis” bisogna attrezzarsi ad accogliere i destinatari, soggetti di vario livello di maturità, di diversa provenienza, cultura, religione e lingua.
 A tal fine bisogna approcciarsi alle variabilità di apprendimento e di possibili percorsi di formazione.
In tal modo le strutture educative, ispirate alla contemporanea nozione di “complessità”, diventano concretamente un elemento portante dell’esercizio di un diritto della cittadinanza, veicolo e supporto in processi di uguagliamento delle opportunità per persone di diversa classe sociale e provenienza culturale.
Si perviene, in tal modo, alla contestualizzazione, che nel dossier “infra” citato, viene riconosciuta come fondata “sul   riconoscimento formale di acquisizione di competenze realizzate al di fuori del sistema istituzionale.
E le competenze, in ultima analisi, devono intendersi come oggetto d’indagine, che integra il sapere con le abilità pratiche dell’individuo conferenti allo sviluppo della collettività.
E se al concetto di competenza associamo la relata valenza etica, quale condizione del processo formativo dell’alunno per il suo esplicarsi finalizzato alla crescita civile della società, ci accorgiamo, forse, di adire alla logica formale ed operativa del concetto di “complessità” traducendo in chiave pedagogica il suo assunto epistemologico ed antropologico.
 Il concetto di “complessità” nel pensiero di Egard Morin
 “La testa ben fatta”-Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero-Milano-Raffaello Cortina-editore 2000-
Il testo, che ci accingiamo ad illustrare, rappresenta un pilastro dell’attivismo epistemologico dell’ultimo arco di tempo e prelude più che ad una riforma, ad una vera e propria “rifondazione” della scuola, che si apre ai plurimi orizzonti della “complessità” del suo mondo oltre che pedagogico, epistemologico ed antropologico.
Infatti, in connessione al concetto di “complessità”, l’autore presenta una riforma del pensiero che vuole essere paradigmatica ed al contempo una risposta alle trasformazioni che stanno vivendo l’uomo e la sua conoscenza, con specifico riguardo alla strategia didattica.
La rivoluzione paradigmatica, secondo l’autore, riferibile alla democratizzazione del diritto a pensare comprende il concetto della“complessità didattica”, che permette ad un pensiero complesso di organizzare il sapere e di collegare le conoscenze, oggi confinate settorialmente nelle discipline.
 Assistiamo, quindi, ad una “rivoluzione copernicana”, in cui riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero coincidono.
Per l’autore è pregnante nell’attività didattica formare le menti, “che possano disporre di un’ attitudine generale  a porre e a trattare  i problemi e i principi organizzativi  che permettano di collegare i saperi e di dare loro un senso”[4]
Il Morin, inoltre, fa un’accurata analisi dello “status” odierno della scuola e ne evidenzia le difficoltà e le incongruenze.
Lo studioso accentua la sua attenzione sull’inadeguatezza dei nostri saperi, scissi per discipline in contrapposizione alle esigenze insorgenti nel nostro tempo e tendenti a problemi che si rivelano sempre più polidisciplinari, globali e planetari.
Nell’apprendimento dicotomico delle discipline, inoltre, il pensatore ravvisa la causa primigenia dell’incapacità di cogliere ciò che è tenuto insieme ed in altri termini la complessità degli stessi saperi.
Il Morin delinea puntualmente il “concetto di complessità” anche nelle sue forme attuative  nel momento, in cui afferma: “C’è complessità quando sono inseparabili le differenti componenti che costiuiscono un tutto……….e quando c’è un tessuto interdipendente, interattivo e inter-reattivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti”[5].
 Ad alienare nella scuola attuale l’inverarsi di un attivismo pedagogico complesso e rispondente alle istanze del tempo, concorre, secondo l’autore, l’espansione incontrollata del sapere. Così si esprime: “L’accrescimento ininterrotto delle conoscenze edifica una gigantesca torre di Babele, rumoreggiante di linguaggi discordanti. La torre domina perché noi non possiamo dominare i nostri saperi……………”[6]
Ed è appunto contro questa torre di Babele che oggi si incentra l’aspetto cogente della “didattica della complessità” in forma paradigmatica e pragmatica.
Pertanto la scuola ovvero l’agenzia deputata all’apprendimento e alla formazione, deve  diventare protagonista di una rifondazione, che è al contempo rifondazione del pensiero e della conoscenza e della formazione integrale dell’individuo.
In ultima analisi possiamo affermare che l’essere umano oggi  deve essere catalizzatore  della  complessità dei saperi; soggetto ed oggetto della conoscenza. Correlato al principio è, inoltre, la rivisitazione dell’obiettivo fondamentale della scuola: “apprendere a diventare cittadini”.
Ma mentre prima l’attenzione alla formazione del cittadino veniva commisurata con la nazione, adesso lo sguardo si allarga primariamente al cittadino europeo ed infine a quello globale.
La riforma, pertanto, di cui parla Morin, e a cui noi miriamo è paradigmatica nel momento in cui focalizza la nostra attitudine ad organizzare le idee, ma al contempo è pragmatica in quanto rimanda a forme attuativo-operative in seno alle Istituzioni e all’interno degli organi scolastici.
L’autore percorre un lungo cammino, già iniziato nel 1994[7], quando aveva puntualizzato l‘aspetto epistemologico ed antropologico della complessità.
Nel volume, di cui ci interessiamo, l’autore intende essere propositivo nella sfera  delle istituzioni e nella prassi didattica.
Così, infatti, egli dice: “ Non possiamo riformare  l’istituzione senza aver riformato le menti, ma non possiamo riformare le menti se non abbiamo preventivamente riformato le istituzioni.”[8]
Il discorso di Morin, che abbiamo cercato di illustrare nelle linee generali, ci sembra di vitale importanza in quanto  enuncia le direttrici, su cui la scuola odierna dovrebbe basarsi per assolvere alle sue specifiche funzioni nella società contemporanea e per far sì che il soggetto educando impari a diventare cittadino, ma non più esclusivamente cittadino della sua nazione, ma cittadino europeo e globale.
Quest’ultima affermazione potrebbe sembrare utopica e la sua realizzazione è senz’altro difficoltosa e prevede un lungo ed arduo cammino.
E,’ però, senz’altro obbligo della scuola  rispondere a quest’attesa ormai indifferibile.
Il Dirigente scolastico, in simmetria con tutti gli organi collegiali, dovrà impegnarsi a fondo per la realizzazione e la definizione delle mete, cui è chiamata l’odierna scuola e per tradurre in fatti e non solo in parole il discorso della complessità.
 
Il  binomio “complessità-autonomia”
Nel nostro discorso precedente abbiamo insistito sulla necessità di conciliare, in nome del principio della complessità, il momento paradigmatico con quello pragmatico ai fini di un’efficacia educativa rispondente alle esigenze del nostro tempo.
Adesso ci sembra opportuno esaminare quali possano essere gli strumenti giuridici e/o operativi, di cui la scuola dispone per il perfezionamento delle finalità didattiche proposte.
Occorre, innanzi tutto, che il dirigente scolastico, in sintonia con tutti gli apparati scolastici interni ed esterni, si muova con oculatezza negli ambiti di propria competenza e nei poteri attribuiti dalle istituzioni.
Per realizzare un discorso sulla complessità, anche nella fase organizzativo-operativa, occorre che il dirigente scolastico abbia perspicuo il concetto di autonomia nella scuola.
L’autonomia nella scuola è proprio di tutti i sistemi scolastici europei e costituisce una risorsa di fronte alla complessa società contemporanea.
La sua “ratio” è, quindi, quella di fornire risposte positive alle plurime problematiche del mondo della scuola, che attende di essere rinnovata.
All’istituzione dell’autonomia vengono connesse tre modalità fondamentali che interagiscono con la complessità degli itinerari scolastici:  flessibilità, responsabilità, integrazione.
E’ compito del dirigente scolastico e di tutte le componenti correlate di organizzare, in virtù dell’autonomia, che ne supporta le condizioni giuridiche, il piano dell’offerta formativa con percorsi didattici mirati e finalizzati al successo formativo-educativo.
L’insieme dei meccanismi di flessibilità, inseriti all’interno del piano formativo, consente di rispondere con maggiore efficacia, rispetto all’età precedente, alle esigenze degli alunni e può favorire uno degli obiettivi fondamentali della scuola contemporanea: l’orientamento.
L’autonomia, infatti, deve essere considerata dal dirigente scolastico e da tutto il comparto scuola, uno strumento necessario utile a rendere più flessibile l’intero sistema di formazione ed orientato a costruire piani di studio permanente ed aderente al progetto di vita.
Sarà cura degli organi preposti, nell’ambito dell’autonomia, di organizzare percorsi integrali di istruzione e formazione.
Il binomio complessità-autonomia, indirizzato alla finalità precipua dell’orientamento, rinviene, altresì, la sua efficacia giuridica nel D. P. R. 12 luglio n.257, che prevede un’azione coordinata tra istituzioni scolastiche, centri di formazione professionale e servizi per l’impiego, volta ad un’efficace opera di informazione e di orientamento per i giovani.
Si ritorna, indi, al concetto della capitalizzazione delle competenze, che devono ottenere, di volta in volta, il carattere di veri e propri crediti formativi, validati ai sensi e nei termini contemplati dal D.P.R: 257/2000.
Nel Piano dell’offerta formativa, rispettoso del concetto di complessità, precipuo interesse deve essere quello di mettere a punto e descrivere le strategie di flessibilità vocati a rispondere a tutte le esigenze degli alunni nell’ambito apprenditivo-cognitivo e nel più ampio processo formativo e psico-intellettivo.
A livello operativo si possono promuovere: 
·        Moduli di insegnamento individualizzati
·        Moduli di apprendimento
·        Moduli di orientamento e/o riorientamento per la scoperta di specifiche vocazioni
·        Moduli per l’acquisizione di specifiche competenze, fruibili nell’ambito regionale e/o nazionale e/o europeo.
In tal modo il Piano dell’offerta formativa promuove un progetto curriculare, che è da intendere come progetto di vita.
Il che, invero, interessando la responsabilità di tutto gli organi preposti all’istituzione scolastica ed in primo luogo del dirigente scolastico, deve tradursi come una risposta concreta ai principi teorici innanzi enunciati ed una soluzione all’assunto del Morin[9], che propone nella scuola l’interazione tra un momento paradigmatico ed un momento pragmatico.
Nel processo di costruzione di questo complesso processo educativo incide congiuntamente a tutte le componenti scolastiche la responsabilità del dirigente scolastico, che è titolare dei rapporti con le istituzioni, che operano nel territorio, garante del sistema di regole negoziali all’interno e al di fuori della scuola.
Ma se in un certo qual modo al dirigente scolastico è affidata la regia della scuola “della complessità”, non dobbiamo neglegere l’azione degli insegnanti, che hanno il compito di progettare un’offerta formativa, che apra nuovi spazi di creatività.
Il lavorare con creatività, in fondo, significa anche instaurare un clima di cooperazione e collaborazione per sostituire una didattica codificata con un’altra dinamica ed innovativa, come abbiamo spiegato precedentemente, complessa e non complicata e pertanto dialettica ed aperta  agli orizzonti della coeva civiltà.
La scuola, che continueremo a definire “sic et sempliciter” della complessità non può trascurare nessuna delle componenti, che la sostanziano.
Studenti e genitori, infatti, costituiscono il necessario raccordo tra la realtà interna della scuola ed il mondo esterno, con cui l’organismo scolastico deve confrontarsi.
La compresenza di alunni e genitori non è volta a creare inutili diatribe, piuttosto ad instaurare un clima scolastico armonico, in cui si recupera pienamente la centralità dell’alunno per svolgere non un discorso della “cosa in sé”, ma “ un discorso “intorno alle cose”, come abbiamo chiarito precedente parlando del concetto di complessità.
Ci rimandiamo, in tal modo, alla concezione moriana, già ricordata, che postula l’esigenza dell’inscindibilità delle differenti componenti costituenti il tutto e l’ineludibilità di un tessuto interattivo ed inter-reattivo fra le parti e il tutto.
Nei processi organizzativi, oltre alla flessibilità ed alla responsabilità, sussiste un altro principio già enunciato: quello dell’integrazione.
Invero l’integrazione dei vari progetti e la coerenza delle diverse iniziative esprimono l’identità della scuola.
Con il termine identità della scuola noi delineiamo la fisionomia stessa dell’istituzione scolastica, determinata dalla progettazione del curricolo, nonché dalle attività extracurriculari educativo-formative.
Il che ha in sé implicito i temi della complessità, che informa la polivalenza dell’azione didattica attuale.
E se la didattica odierna deve identificarsi con la vita stessa degli alunni e con la promozione delle loro competenze, non solo nell’ambito cognitivo-apprenditivo, ma anche nell’estrinsecazione di abilità socio-economico-operative, necessita che il Piano dell’offerta formativa sia “ad hoc” orientato.
In detto piano, infatti, si possono definire:
·       Discipline ed attività liberamente scelte della quota di curricolo riservata.
·       Possibilità di opzione offerta agli studenti e alle famiglie.
·       Discipline ed attività aggiuntive della quota facoltativa del curricolo.
·       Azioni di continuità aggiuntive della quota facoltativa del curricolo.
·       Azioni di continuità, orientamento, sostegno e recupero corrispondente alle esigenze dagli alunni rilevate.
·       Articolazioni modulari di vario tipo
·       Modalità e criteri per la valutazione.
La messa in opera di tutti questi strumenti e la loro coesione sarà, allora, funzionale alla rinascita della scuola, che, come viene auspicato nel Dossier della Pubblica Istruzione, già preso in esame,[10]rappresenta tutte le variabili possibili e fornisce competenze acquisite come conoscenze nel campo d’azione.
Gli apparati organizzativi, di cui la scuola dispone e le sue competenze attribuite dalle istituzioni, in altri termini, devono realizzare la contestualizzazione della vita scolastica con il reale tutto quanto perché il la boratorio non si origini soltanto dal “labor”, ma più significativamente dall’ “elabor”, con l’accezione che in latino è propria, e cioè con tutte le  implicanze di carattere relazionale, emozionale ed ideologico-culturale che sono del nostro tempo e che sono da rinvenire ed evolvere nella complessità dell’azione educante
La connotazione epistemologica ed antropologica, attribuita al “concetto di complessita’”, su cui s’impernia la dimensione educativa, conseguentemente avrà un senso e produrrà i suoi frutti.
 
Il Progetto CENTAURUS tra “COMPLESSITA’. AUTONOMIA, ATTUALITA’”
Il progetto Centaurus raccoglie l’eredità del progetto della Pubblica Istruzione- Confindustria –Organizzazione e Gestione dell’Istituto scolastico.
Si presenta come una proposta di formazione avanzata per dirigenti e docenti
Il progetto, in particolare, nell’ambito dell’autonomia, recepisce in pieno il concetto di complessità e si propone di migliorare la qualità del servizio scolastico.
La proposta formativa del progetto è incentrata sull’uso attivo e modulare al materiale multimediale “Centaurus”, fornito dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Il materiale formativo “Centaurus” è costituito da dispense cartacee, videocassette-C-D-Rome-guide per i tutor, che coordinano il lavoro dei corsisti.
L’uso del materiale multimediale non è, però, da ritenere fine a se stesso, ma strumentale per una simultanea interazione con tutti gli organismi scolastici, che lo adottano, ai fini di un’immediata e partecipe intellegibilità della storia complessa, che vive il mondo della scuola, e nell’intento di apportare probanti soluzioni per il prosieguo dell’azione didattica.
Il percorso di “Centaurus” è articolato in cinque aree tematiche:
1.     La scuola dell’autonomia
2.     Società, scuola, formazione
3.     Comunicazioni e relazioni
4.     Il ruolo delle nuove tecnologie
5.     La progettazione dell’offerta formativa
Il coordinamento del Progetto è affidata alla Direzione Generale del Ministero dell’Istruzione per l’istruzione classica, scientifica, magistrale.
Per maggiori informazioni sul progetto abbiamo preso in esame il documento stilato dal “Liceo Scientifico- A: Vallisneri- Lucca”,[11]documento, peraltro, segnalato via on-line dal Ministero dell’Istruzione.
Il sottotitolo, che il summenzionato Liceo attribuisce al documento nella nota  informativa e che noi abbiamo preso in prestito in epigrafe, è: “Il governo della scuola: complessità, autonomia, qualità.”
Così, infatti, si legge nel documento presente on-line[12] “Il pacchetto formativo è costruito attorno all’ottica dell’autonomia, quale leva di gestione della complessità scolastica. L’autonomia è letta ed interpretata in un’ottica culturale, come capacità effettiva di utilizzare gli spazi aperti dal”nuovo scenario normativo”.
Questa affermazione ci sembra essere sincronica al nostro assunto, precedentemente espresso nella formula: binomio complessità-autonomia.
Le finalità, inoltre, proposte dall’intervento formativo e riportate nel documento già menzionato sono queste:
·        Fornire strumenti culturali aggiornati che consentano tramite competenze tecnico professionali di effettuare momenti di progettualità responsabile, diffusi ed organicamente coordinati entro finalità generali e comuni.
·        Promuovere un’interazione sistemica tra Scuole, Amministrazione nell’ambito territoriale ed al di fuori di esso.
Nella stesura del progetto, inoltre, compaiono tutti quelli aspetti, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente:
·        La dimensione pedagogica
·        La norma giuridica
·        Le capacità relazionali
·        La progettazione del Piano dell’offerta formativa..
I criteri, inoltre, che informano il Progetto sono quelli già  enucleati: flessibilità, responsabilità ed integrazione.
La flessibilità viene determinata nel momento stesso in cui il progetto interagisce con una pluralità di componenti e si apre a spazi aperti di comunicazioni ed interscambi, sensibili ai bisogni dell’alunno, nella differenziazione di ambiti territoriali e socio-culturali della coeva civiltà.
La flessibilità, conseguentemente, si coniuga con l’integrazione in quanto gli interventi di  progettualità sono globalmente ed organicamente coordinati entro finalità generali e comuni.
La responsabilità è connessa al ruolo, che assumono dirigente scolastico ed organi preposti, che utilizzando con opportuno discernimento l’autonomia, si accingono a gestire una scuola, che risente di una crisi epocale, e, che soprattutto deve fare i conti con lacomplessità e di conseguenza con l’adozione di tecnologie didattiche innovative per il miglioramento della qualità del servizio scolastico.
Concordiamo perfettamente, pertanto, con quanto enunciato nel documento, di cui parliamo, che così riferisce: “La proposta si costruisce…attorno al concetto chiave dell’autonomia, quale leva di gestione della complessità scolastica. Essa viene visitata in un’ottica culturale, con capacità effettiva da parte del capo d’Istituto di utilizzare gli spazi aperti del nuovo scenario normativo.”[13]
 Salvatore  Coico
 

 

[1] Sintesi del Dossie

L’analisi del testo dalla “teoria” al “laboratorio”

L’analisi del testo- dalla “teoria” al “laboratorio”

Proposta didattica.

 

La lettura del testo oggi nella cultura contemporanea e nell’azione didattica assume un ruolo di primaria rilevanza, non soltanto nell’ambito dell’educazione letteraria, ma in quello più ampio di un’educazione permanente. Il docente, infatti, in sintonia con gli strumenti della critica contemporanea, dovrà proporre agli alunni delle scuole secondarie d’istruzione secondaria un insegnamento che, ai fini di una valenza didattica del tutto efficace dovrà connotarsi in un “laboratorio”, da sviluppare in complementarietà e simultaneità con i soggetti educandi. La logica stessa, infatti, delle discipline umanistiche implica la compresenza di valori etico-estetici,che devono rinvenirsi non soltanto nella sfera apprenditivo-cognitiva dei discenti,ma anche in quella metacognitiva congruente all’educazione permanente dell’individuo e della sua formazione integrale.

In primis” il docente dovrà avviare un discorso con i discenti per conoscere i loro itinerari culturali, le loro motivazioni ed attese.

Si darà inizio così ad uno “spazio parlante” e la forma dialogica indurrà il docente stesso ad interagire con gli alunni, che diventeranno, in tal modo, soggetti dei complessi processi didattico-formativi.

Questo primo momento, che reputo ineludibile per l’armonico svolgimento degli obiettivi cognitivi coniugati a quelli trasversali, diventerà allora anche propedeutico per la realizzazione propria dello studio della Letteratura italiana in generale e dell’analisi del testo in particolare.

Nasce, indi, l’esigenza di creare come premessa dell’azione didattica un exemplum dello studio letterario come esperienza di vita vissuta e di possibili autonome interpretazioni.

Premesso quanto innanzi, attraverso un’attenta analisi dei testi (la centralità del testo dovrà essere sempre il fondamento di ogni indagine letteraria), seguendo i criteri della critica moderna e la lezione di Husserl, che invita a leggere l’opera letteraria “nella sua unità sistematica, ma non dogmatica”, il docente educherà i discenti al concetto di polisemia culturale, alla configurazione delle categorie spazio-interno/esterno—tempo-interno /esterno, alla decodificazione del testo letterario sul piano denotativo e su quello connotativo.

Le analisi testuali per una maggiore efficacia interpretativa e, per esigenze anche di comprendere il mondo letterario in forma polivalente, dovranno essere trasferite al livello intertestuale e metatestuale con l’apporto di altre discipline (filosofia, storia, storia dell’arte) nella dimensione sincronica ed in quella diacronica.

Lo studio della letteratura, in fondo, deve educarci al motto cicerioniano “ad unum convertere studium”.

Il che sembra emblematizzare la necessaria coincidenza fra filologia e filosofia, tra ragioni proprie del letterato e del suo lettore, tra lingua scritta e suo significato logico-argomentativo e/o evocativo e/o antropologico-sociale.

Tutte queste componenti, che ho accennato sommariamente, ripropongono molteplici forme di indagini critiche sul campo epistemologico e su quello meramente linguistico. Sarà cura dell’insegnante offrire agli alunni gli strumenti necessari utilizzabili per la comprensione del testo nella sua autenticità ed interezza.

In primo luogo occorre proporre il problema della lingua, come “sistema comunicativo” ed analizzare l’atto linguistico all’interno del processo letterario in una prospettiva storico-comparata, come peraltro viene suggerito dalla recente critica al riguardo e dalle indicazioni ministeriali, concernenti l’insegnamento della Letteratura Italiana negli Istituti secondari di   primo e secondo grado.

Ma il discorso, fin ora esposto, potrebbe apparire arido, se alle competenze senz’altro necessarie ed irrinunciabili ed al sicuro dominio degli strumenti critico-filologici, non corrispondesse una motivazione personale, oserei dire un coinvolgimento esistenziale nell’interpretazione dei testi, nell’autonoma capacità di leggerli, contestualizzarli, però, sempre attraverso corretti paradigmi metodologici e con l’osservanza agli aspetti formali, strutturali, linguistici.

Tale organigramma propedeutico avrebbe, pertanto, come obiettivo non solo lo sviluppo delle competenze nella sfera cognitiva, ma soprattutto sarebbe finalizzato alla logica stessa dell’insegnamento della letteratura italiana e al suo profondo significato traducibile nella crescita globale personale.

Il che, in ultima analisi, dovrebbe commutarsi in momento paradigmatico, da essere rivissuto dagli alunni nella loro futura esperienza di vita.

. Che forse l’insegnamento tramandato da Carlo Bo  “identità letteratura-vita” non è da intendere sempre come normante di ogni processo cognitivo-apprenditivo dello studio della Letteratura Italiana?

Che l’analisi del testo ci riconduce anche alla sfera della psicologia cognitiva e quindi all’interiorizzazione di chi si appresta allo studio letterario è fatto conclamato dalla critica recente e pertanto lo studio letterario, sempre più intrinseco alla vita di ognuno di noi, deve essere rivisitato in forma personale.

. A tal fine s’indicano forme di strategie didattiche di tipo euristico, che hanno una valenza preponderante nella formazione degli studenti, che impareranno soprattutto a “saper essere”.

Per quanto riguarda i fondamentali aspetti tecnico-formali, congiuntamente agli aspetti della psicolinguistica, non si devono neglegere nell’analisi del testo le relazioni logico-semantiche all’interno del testo stesso, la loro coerenza e coesione.

. Obiettivo finale dell’interpretazione del testo, da riproporre in chiave didattica, sono l’analisi formale e la contestualizzazione.

.La riflessione linguistica, come quella letteraria dovrà partire dai testi, attraverso i quali si attualizza il funzionamento della lingua congiunto al processo letterario.

Si affronterà, conseguentemente, lo studio della “grammatica del testo” in forma polisemica.

Letteratura, scrittura, comunicazione, grammatica logica del testo devono afferire ad un’unitarietà di tecniche metodologico-critiche per riproporre categorie logiche, strutture del discorso, abilità argomentative, che sono proprie dell’uomo e che solo la letteratura può comprende compiutamente

. E’ chiaro che a tal punto gli studiosi parlano di “interiorizzazione linguistica”.

Questo concetto, che appare astratto nella sua formulazione, può diventare autentico se rivissuto nelle forme, che ho appena accennato e se riferito agli utenti (alunni, interlocutori, lettori)

.Ancora una volta, quindi, un’ipotesi critica rimanda ad una strategia didattica.

.Sul piano didattico, inoltre, il problema della lingua diventa trasversale (altro fondamentale obiettivo didattico) e supporta un metalinguaggio d’uso nel discorso formale.

. Essendo, inoltre, il linguaggio in rapporto con il pensiero, la sua corretta conoscenza diventa componente fondamentale per un percorso interdisciplinare, pluricomprensivo. variabile in registri, sottocodici, in diversità geografiche, diatopiche.

.Ritengo che questi aspetti dovranno essere affrontati puntualmente nel corso dell’insegnamento per correlarli ad uno studio attento della Letteratura Italiana ed ad una corretta strategia didattica.

Pregressa questa enunciazione generale e che potrebbe sembrare proposta in astratto, mi permetto di indicare alcune linee programmatiche in modo più specifico:

  • Educazione alla letteratura.
  • Educazione del giovane all’apprendimento della libertà individuale attraverso lo studio della letteratura.
  • Necessità di non sottoporre il giovane all’autoritarismo didattico.
  • Processi culturali

 

Strategie didattiche finalizzate alla lettura di un testo letterario-

AUTORE- OPERAZIONE DI COMPRENSIONE- COMUNICAZIONE-INTERPRETAZIONE-

  Secondo Alter i processi della lettura consistono nel godimento di una complicità  tra autore e lettore.       

 Primaria peculiarità nella lettura e nell’analisi dei loci letterari è quella di non prescindere dal senso letterale che deve essere correlato alla coerenza testuale. Bisogna difendere il testo da fini estranei di tipo ideologico od altro. Alla domanda di Focaultqu’est ce que l’auteur?” o alle affermazioni di Eliot, che nell’economia della lettura, analizza i momenti differenti: la trama per i più semplici, il personaggio per i lettori più riflessivi, che ne intuiscono il conflitto ed infine “le parole e la costruzione delle paroleper i più inclini alla lettura,” possiamo concludere con le parole di U.Eco, che in “Lector in fabula”, definisce il testo”, una macchina pigra che lascia al lettore una parte del suo lavoro”. Sarà, infatti, precipuo compito del docente fare muovere questa “macchina pigrain percorsi prodromici a quelli didattici.

 

AVANTESTO E MONDI POSSIBILI

Secondo Iser il testo rappresenta un effetto potenziale che viene realizzato nel processo di lettura.

La teoria della comunicazione può essere costruita su due poli complementari; da una parte il testo ed il lettore, dall’altra l’orizzonte di attesa, che stigmatizza la complicità tra autore e lettore e vede la lettura come generatrice di piacere e curiosità.

.Il discorso, pertanto, fondamentale dell’insegnamento della letteratura italiana deve rapportarsi al concetto di testualità.

 Come si può leggere e commentare un testo ed in particolare, urgendo sempre più nello studio della letteratura italiana una peculiare attenzione al presente, un testo del 900?

Seguendo la lezione del Lotman, che invita alla comprensione plurivoca del testo in rapporto ai registri linguistico-formali, all’intertestualità culturale, alla sua coerenza strutturale e alla legge costruttiva del testo stesso, che ne determina la sua unicità ed individualità:, si affronterà l’analisi testuale accogliendo,altresì la tesi dello Sterne, che indulge anche a motivazioni didattiche insistendo sul coinvolgimento dell’immaginazione del lettore.  Da qui la funzione sociale della scuola, che deve svegliare nei giovani attività produttiva ed efficace

.   LIVELLI DEL  TESTO.

Fabula (ordo naturalis) intreccio (ordo arificialis). L’insieme dei livelli concorre al problema della realizzazione artistica.. I livelli morfosintattici-stilistico-fonico-timbrici sono la semantizzazione del contenuto e danno al lettore la possibilità di comprendere anche il respiro lirico e/o ideologico dell’opera. Il rapporto tra i vari livelli formali è la legge del testo. A questo punto, però, è necessario porre l’attenzione ad un uso non discriminato del testo. L’educazione letteraria, invero, deve essere fondata sulla “centralità del testo” di cui è tenuta a curare tutti i livelli di interpretazione sul piano denotativo e su quello connotativo.

STRATEGIE INTERPRETATIVE

La critica semiotica predilige il problema di complicità tra autore e lettore che appare più redditizio per il concetto di centralità del lettore.  Nella scuola, invece, è necessario avviare una spirale infinita di interpretazioni.

Nel corso delle lezioni, pertanto, si dovrà procedere ad interpretazioni critiche diversificate, purché corrette e coerenti sul piano filologico-testuale.

. TRE OPERAZIONI FONDAMENTALI

1.Operazione dell’autore

2.Operazione del testo

3.Operazione del lettore.

In quest’ottica si deve anche tenere presente il fenomeno del mutamento nella dimensione storica anche nella sua connotazione antropologica..

Si sente la necessità di rivisitare alcune opere, di effettuarne la rilettura (si ricordino le opere di Pirandello, Levi, Gadda, Fenoglio ed altri) nel contesto socio-culturale filtrato attraverso la sensibilità dell’autore.

IL PROBLEMA DELLA LINGUA

LINGUA LETTERARIA-RAPPORTO TRA LINGUA E DIALETTO.

  In Italia coesiste una varietà linguistica: ne deriva che un testo letterario è plurivoco, pluridiscorsivo.

Attraverso i testi, seguendo gli insegnamenti degli studiosi più accreditati, si dovrà scoprire la ricchezza e la varietà della lingua italiana, rispetto al linguaggio standardizzato dai mass-media, e questa lezione dovrà essere trasmessa sul piano didattico.

Seguendo l’ideologia marxista sappiamo che il linguaggio non può essere separato dall’ideologia perché ne è lo strumento principale. i contributi più significativi al riguardo ci vengono offerti da Dionositti che con la sua opera: (“Geografia e storia della letteratura italiana”) ci svela un panorama della letteratura italiana letto in chiave non solo storica, ma anche antropologica e sociolinguistica e dagli  approfonditi studi di Bachtin.

Quest’ ultimo, in particolare, accentua la sua attenzione sul concetto di eteroglossia, secondo il quale, nel testo si mettono in gioco una moltitudine di voci sociali e le loro espressioni individuali

.Al concetto di eteroglossia si lega quello di dialogia nel momento in cui le voci linguistiche diversificate interagiscono socialmente.

A questo punto Bachtin opera una svolta concettuale nella sua indagine critica ed afferma “il monologo non è più possibile, nella realtà tutto è dialogico.”

.In quest’ottica lo stesso Bachtin analizza “Il partigiano Jonny” di Fenoglio, che connotandosi con un’ideologia partigiana, ha una plurivoca componente stilistica afferente all’ideologia e alla rappresentazione storico-critica-sociologica della realtà narrata in forma dialogica.

Per quanto riguarda la critica stilistica ci appare illuminante il pensiero di Barberi Squarotti all’interno del saggio su Auebarch l’autentica critica stilistica consiste nel prendere coscienza attraverso le strutture fondamentali dello stile della posizione interpretativa della realtà assunta dallo scrittore e riferibile, per esatto prolungamento storico, entro la stessa struttura linguistica”.

Nel campo didattico questo presupposto teorico è da collegare agli elementi fondanti dell’educazione e dello studio della letteratura in generale.

  MODELLI DI LETTURA E TEORIA DEI TESTI

  La lettura dei testi deve tener conto delle differenti tipologie di registri, codici linguistici, generi e categorie, cui il testo stesso si riferisce.

E’ da rilevare, inoltre, che negli istituti secondari di istruzione secondaria gli alunni s’imbatteranno in testi diversificati per discipline: dalle letterature classiche a quella italiana, a quella straniera, dalla storia alla filosofia, alla storia dell’arte.

Nel rispetto delle categorie di pensiero e dei codici e dei registri linguistici, riferibili ad ogni scritto d’autore, è assolutamente necessario che i docenti delle varie discipline adottino e concordino unitarietà di tecnologie didattiche per la lettura e l’interpretazione dei testi.

Gli studi recenti, relativi alla teoria dei testi e ai modelli di lettura, devono costituire un fondamento irrinunciabile per tutti quanti i docenti dell’ambito umanistico.

Se, invero, ci addentriamo nello studio della teoria dei testi, ci accorgiamo che questa disciplina, nata nel novecento, si presenta come la legittima erede delle poetiche e degli studi retorici tradizionali, riconducibili, però, ad un discorso plurale, che costituisce un sistema dinamico, in cui convergono storia, filosofia e semiologia del linguaggio.

Da questa premessa si deduce che nel corso dell’attività didattica è necessario volgere peculiare attenzione al modello di lettura in senso paradigmatico per consentire l’approccio al testo sia esso di carattere filosofico che storico e/o letterario.

A tal fine sarà irrinunciabile l’adozione del metodo filologico, che permetterà, altresì, l’incontro con i testi classici ed il loro ri-uso negli autori della letteratura moderna e contemporanea.

Ci si avvarrà dell’insegnamento di G.Pasquali, che così si esprime in (Storia della tradizione e della critica del testo-Le Monnier-Firenze-1962): “in primo luogo sono convinto che almeno nelle scienze dello spirito non esistono discipline severamente delimitate, “scomparti”, ma solo problemi che devono essere desunti dalle più varie discipline”.

La filologia dovrà, pertanto, essere il nucleo fondante di ogni modello di lettura sia per quanto riguarda i testi classici che quelli moderni, anche di carattere storicofilosofico, per meglio comprendere i processi intertestuali e metatestuali.

A livello esemplificativo si potranno presentare modelli di lettura dell’età classica da comparare agli autori moderni o contemporanei per risalire agli archetipi letterari e al loro ri-uso con contesti diversi e con conseguenti meccanismi linguistici differenziati.

“In fieri”, nell’attività didattica, si indulgerà verso un discorso di lettura diacronica, che implicherà, altresì, un’interazione tra letteratura, storia, filosofia.

Seguendo l’insegnamento di Barberi Squarotti, sarà obiettivo fondamentale dell’educazione alla lettura del testo quello di superare l’“hiatus” fra l’attuale ideologia della storia ed i metodi di indagine strutturale della letteratura ai fini del “riconoscimento del movimento parallelo e diverso che storia e letteratura compiono nella loro indagine con i loro specifici strumenti di sondaggio e di illuminazione dei fenomeni umani”

La lezione di Barberi Squarotti, che propone “strumenti di sondaggio e di illuminazione dei fenomeni” potrà essere strumentale nella dinamica curriculare anche per l’analisi di testi filosofici.

Per quanto concerne gli aspetti attuativi, pregressa l’ottica filologica, docenti ed alunni focalizzeranno l’attenzione sulle tecnologie critiche concernenti l’analisi del testo, proposte dal formalismo russo, per adire a modelli o ipotesi scientifiche e per spiegare come certi effetti estetici sono prodotti da determinate tecniche letterarie.

Ma se lo studio del formalismo russo è ineludibile, nel prosieguo dell’educazione alla lettura testuale, sarà necessario adire alle teorie post-strutturalistiche, nell’intento di superare quell’iato, di cui parla Barberi Squarotti, per adottare un discorso plurale nei modelli di lettura dei testi, in considerazione anche del fatto che l’insegnamento si rivolge a tutto l’ambito disciplinare umanistico.

Sarà opportuno, allora, improntare i modelli di lettura secondo sistemi dinamici per riferirlo, giusta la definizione di Jacobson, ad un “dominante”, che nel 1935 l’autore ha definito come componente-chiave, che regola, determina e trasforma tutti gli altri elementi insiti nel testo.

Il concetto di “dominante”, inoltre applicato ai modelli di lettura dei testi, offrirà agli alunni l’opportunità di leggere testi di diverse tipologie sia di carattere letterario che storico e/o filosofico in un sintagma paradigmatico.

Lo studio attento delle più recenti ed accreditate teorie dei modelli di lettura del testo e della semantica, dal post-strutturalismo alla critica fenomenologia di Husserl, dovrà concludere il processo di formazione per l’acquisizione di strumenti critici da parte degli alunni.

Superato, infatti, anche nel campo linguistico la teorizzazione di “langue” e “parole” di stampo saussurriano, i discenti, opportunamente guidati dai docenti, seguendo l’insegnamento di R..Barthes, applicheranno nei modelli di lettura dei testi la più ampia e comprensiva teoria delle “formazioni discorsive”.

Si supererà, in tal modo, l’errore in cui era incorsa la scuola del formalismo russo, secondo la quale si ambiva ad interpretare tutte le storie del mondo in una sola struttura.

La teoria delle “formazioni discorsive”, inoltre. indurrà gli alunni a non considerare nei modelli di lettura Oggetti e Soggetti in mondi separati..Secondo questa concezione, infatti, ogni cosa “è sempre in processo”, persino lo stesso soggetto.

Il che, oltre ad essere funzionale al concetto oggi irrinunciabile di polisemia culturale, darà la possibilità di sviluppare un’ottica unitaria nella lettura diversificata per genesi e tipologia, dalla letteratura classica a quella moderna e contemporanea, dalla filosofia alla storia.

In ultima analisi, per dirla sempre con Barthes, finalità precipua sarà l’incentivazione “al piacere del testo”, conseguente al fatto che “i testi non vanno letti, ma interrogati”.

Gli aspetti teorici, sommariamente suesposti, congiuntamente a tutta la correlata indagine di tipo semiologico-linguistica, dovrà essere suffragata da un’oculata lettura dei testi, svolta, oltre che con metodo filologico, nei modi possibili di interpretazione intertestuale e metatestuale.

Salvatore Coico

Lo studio di Dante negli Istituti di istruzione secondaria

RELAZIONE PRESENTATA AL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE (anno sc. 1990/91)
a)  Utilità dello studio di Dante negli Istituti secondari di Istruzione secondaria.
b)   Proposte didattiche.
Riguardo al primo interrogativo del questionario e concernente l’utilità dello studio dell’opera dantesca non vi è alcun dubbio che è senz’altro utile, anzi necessario lo studio della “Commedia” per le implicanze di carattere filosofico, letterario che la “summa” delle tematiche dantesche comprende. Considerando di poi che non può sussistere un’utilità unidimensionale fruibile soltanto dal docente; il che snaturerebbe il significato dell’azione educante, lo studio dantesco dovrà connotarsi come momento auxiologico degli itinerari curriculari relazionabile all’universo mentale e morale dei

Per quanto riguarda il “modo” di diffondere il verbo dantesco nelle forme
propedeutiche, sarebbe ascientifico in questa sede dare una risposta in termini definiti.
Invero si rinviene sempre la necessità di un discorso introduttivo per far comprendere agli alunni il momento ideativo della struttura artistico-lirico-compositiva del canto, che il docente si accinge a leggere. Il discorso introduttivo non deve essere, però, dicotomico alla testualità del canto, alla sua decodificazione e al polisenso che la parola dantesca esprime.
L’esposizione introduttiva ad ogni cantica od ad un singolo canto può essere articolata in vari modi per comprendere di volta in volta tematiche di ampio respiro ideologico – contestuali, intertestuali e metatestuali: TEMPO/ETERNITA’-FISICA/METAFISICA-FIGURA–(“dalla“res all’inventio poetica”.) 
Tali direttrici propedeutico-critiche sono comprese nell’organigramma didattico “ab initio” dell’anno scolastico, tenuti presenti i prerequisiti e i ritmi apprenditivi degli alunni, nonché la loro curiositas psicointellettiva, al fine di rendere Dante, come ammoninisce il Bosco, “vicino”. 
La struttura tematica dell’introduzione deve essere isocronica alla lettura del testo e a questo riferibile con puntualità filologica e con ampia connotazione ideologico-culturale. 
In tal senso la lettura della Commedia può interessare gli alunni nel momento in cui questi sono impegnati a comprendere il continuum dei valori del verbo dantesco in senso sincronico e diacronico. 
La lettura di Dante non può e non deve essere una lettura facile, ma non per questo è da ritenere difficile od impossibile. 
Occorre motivare gli alunni ad accostarsi a Dante con la polisemia ideologico-culturale che lo studio dell’autore comporta. 
Dopo l’introduzione e la lettura del testo necessita altresì impegnare gli alunni in un dibattito, da cui si origini attraverso il dictamen dantesco la significazione del suo messaggio in senso storico e metastorico. 
La lettura di un canto della Commedia, inoltre, non può mai considerarsi fine a se stessa, ma deve inglobare la polivalenza e al contempo l’unitarietà dei motivi ideologici ed artistici che materiano l’opera. 
Se si considera, in effetti, che fondamento della Commedia è la “reductio ad unum” di stampo tomistico-aristotelico e che tale reductio nell’autore non comporta soltanto una coscientizzazione filosofico-teologica, ma lievita altresì itinerari psicologici ed esistenziali dell’uomo Dante, personaggio della “Commedia”, è assolutamente necessario far comprendere agli alunni che struttura e poesia,storia e presupposti filosofici e teologali si integrano e si potenziano nella semantica figurale-espressiva della poetica dantesca. Avvalendosi dei recenti contributi della critica dantesca (da Sapegno, a Petrocchi, Getto, Pagliaro sino agli studi di impostazione semiologia e/o figurale di Spitzer, Eliot, Singleton, Auebarch, è possibile al docente avviare una metodologia propedeutico-critica, volta a cogliere l’intrinsecità dei nessi logico-inventivo-artistico-lirici che interrelano tutta quanta l’opera dantesca. In effetti i recenti contributi della critica dantesca ci hanno indicato metodologie ermeneutiche connotative in forme omnicomprensive del “genus” e della “species” della Commedia nella sua sincrasi poetica. 
Da quanto detto si evince chiaramente che risulta inefficace lo studio di Dante con cadenza di un’ora per settimana e con specifico riferimento ad una cantica per ogni anno scolastico del triennio della scuola secondaria superiore. 
Tali strategie didattiche, come pure la suddivisione dello studio delle cantiche per ogni singolo anno, sia essa proposta dalle indicazioni ministeriali, spesso hanno dato allo studio dantesco un’impronta meramente contenutistica e non hanno consentito di intelligere in modo problematico il messaggio dantesco e soprattutto la peculiarità della Commedia, che, come innanzi ho detto, si connota come “reductio ad unum”. 
Non bisogna, pertanto, considerare lo studio della Commedia come un momento a sé stante dell’educazione letteraria, ma deve tendere ad armonizzarsi nella dinamica curriculare con i percorsi letterari, spesso ricorrenti alla lezione del grande fiorentino. 
E’ opportuno, pertanto, impostare un discorso didattico per itinerari da percorrere in tutta quanta l’opera e che, secondo una scelta oculata dell’insegnante, vagliati i prerequisiti, le competenze e le attitudini psicointellettive degli alunni, appaiono più congruenti alla formazione integrale del discente e sincronici all’ottica didattico-docimologica programmata nell’ambito dell’informazione/formazione umanistica. 
Sarà possibile, allora, oltre che cogliere l’intertestualità dell’opera dantesca, un’altra categoria di carattere metatestuale che ci riconduce all’età moderna e contemporanea. Si potranno cogliere anologie e/o differenze tra il “veltro” dantesco e il “principe” machiavelliano, tra il “ghibellin fuggiasco” e il ri-uso del mito di Ulisse nel Foscolo. 
E per venire ai nostri giorni significativa valenza potrebbe assume in una moderna concezione dello studio letterario la problematizzazione in senso diacronico della presenza di Dante in Montale, il configurarsi della figura di Clizia ed il suo rapportarsi con l’archetipo della Beatrice dantesca. 
Volendo adesso accennare allo specifico delle strategie didattiche appare evidente che non sono da percorrere i metodi adsueti ed adesso obsoleti della mera retroversione in prosa dei versi, se non come momento prodromico ad un’immediata comprensione del linguaggio e/o del contenuto, da elaborare, però, in un sintagma logico-critico, che tenda a proporre il “documentum” linguistico-artistico nella più alta sfera del “monumentum” con l’ampia accezione semantica che il termine racchiude. 
E se l’opera di Dante viene considerata come “monumentum” continuerà non solo ad ammonirci, ma diventerà paradigma per leggere il presente e la sua stessa varia, articolata e complessa problematica potrà rapprocciarsi alla sensibilità dei nostri discenti. Il “Dante vicino”, allora non sarà soltanto una brillante proposizione critica del Bosco, ma diventerà realtà operante, che motiva il processo formativo integrale dei nostri discenti. 
A tal fine, negli ultimi anni di insegnamento, ho svolto lo studio dell’opera dantesca seguendo itinerari tematici, che appresso si indicano:
·  Dante personaggio della Commedia

Inferno canto I
Purgatorio canto I
Paradiso canto I
 
·  La figura di Beatrice

Inferno canto II
Purgatorio canto XX
Paradiso canto I
 
·          · Dante e la Sicilia
In
Inferno canto XIII
Purgatorio canto III
Paradiso canto VIII
 
·    La concezione politica di Dante

Inferno canto VI
Purgatorio canto VI
Paradiso canto VI
 
· Libero arbitrio e Fortuna nelle vicende umane

Inferno canto XIV
Purgatorio canto XVI
 

·  Dante e lo stilnovo

Purgatorio canto XXIV
Purgatorio canto XXVI
 
·          · La presenza della donna nella  
             “Commedia”

Purgatorio canto V
Purgatorio canto XXVIII
Paradiso canto III
 
 ·Da “sapientia mundi” a “sapientia Dei”: Ulisse    ed Adamo

Inferno canto XXVI
Paradiso canto XXVI
 
· Il motivo della preghiera

Purgatorio canto XI
Paradiso canto XXXIII
 
——————————————————————-

    · Percorso intertestuale e metatestuale
·        L’amore dall’umano al divino
·        Apparizione di Beatrice
·        Epifania di Clizia
Articolazione della tematica
  A) Apparizione di Beatrice
·        DANTE
Dalla “Vita nova” “Donne che avete intelletto de’amore”
                                                    “Tanto gentile e tanto onesta pare”

Dalla “Commedia” Inferno canto II
Purgatorio canto XXVIII

B) Intertestualità con Montale
 
·        Lepifania di Clizia
          E. Montale

Da “Le Occasioni” “Nuove stanze”
Da “La bufera ed altro” “ La primavera hitleriana”
Le summenzionate tracce rappresentano soltanto alcuni aspetti nodali,attraverso cui in questi ultimi anni ho incentrato le argomentazioni dantesche per rendere il discorso didattico più rispondente non solo alle esigenze degli alunni,ma anche più isocronico alle recenti proposizioni critiche,che puntano sulla “problematizzazione” della “summa” dell’opera di Dante e sull’ “attualizzazione” del suo messaggio.
Invero, allorché si adisce ad una “problematizzazione”ed ad un’attualizzazione”, pur nella scientificità dei temi culturali “id temporis”, è possibile cogliere l’ “hic et nunc” dell’opera dantesca, che ancora oggi può porsi in forma dialetticamente costruttiva.
Favorendo l’intelligibilità del testo in senso polisemico , l’atteggiamento nei confronti dello studio dantesco da parte degli alunni muta sensibilmente e si congiunge a fattività di interesse ed impegno.
L’opera di Dante, inoltre, deve essere presentata dal docente come momento epidittico-documentale della storia medievale nel momento stesso in cui comprendendola nella sua totalità, l’autore la trascende.
Il che supporta la tesi, che ho cercato di accennare nel mio discorso e che sottolinea il fatto che lo studio della “Commedia” non può e non deve intendersi come una sovrastruttura allo studio della storia letteraria in generale, ma ne costituisce parte integrante, che tende a realizzare, in sintonia con tutti i processi cognitivi e metacognitivi, congeniali alla formazione umanistica, un’educazione, che da ricorrente si connota come permanente.
 
—————————————————— 
NOTA BIBLIOGRAFICA
Il testo edito dalla Casa Editrice Palumbo -MINEO-CUCCIA-MELLUSO –LA DIVINA COMMEDIA- TESTI-STRUMENTI-PERCORSI (1996)- è da ritenere una risposta esaustiva ed altamente qualificata alle argomentazioni”infra” accennate nella relazione.
Il testo, infatti, presenta in volume unico per la prima volta l’opera dantesca per percorsi con puntuale correttezza filologica in una aggiornata ottica critica, del tutto fruibile sul piano didattico.
Per queste ragioni il testo si presenta quale strumento necessario tanto utile quanto efficace per la problematizzazione e l’attualizzazione dello studio dantesco nelle scuole.
Susseguente è il testo “Antologia della Divina Commedia-analisi del testo-esercizi- Paravia (1998) a cura di A. Marchi – che propone congiuntamente ad una curata analisi del testo dantesco alcuni esercizi suddivisi per obiettivi didattici.ELAZIONE PRESENTATA AL mSTRUZIONE 8

Annotazioni sulla tragedia greca

ANNOTAZIONI SULLA TRAGEDIA GRECA

 

Aristotele nel IV Capitolo della Poetica indica nei corifei eksarxontes del ditirambo il punto di partenza della tragedia. La parola greca eksarcantes può indicare sia i cantori, che introducono nel parodo (parà odon –entrata in scena), sia quelli che si avviano (episodio) (epì eis odòn), sia quelli che si contrappongono al coro che risponde. Il ditrambo viene considerato il canto dell’anima. Archiloco si vanta di sapere intonare il bel canto di Dioniso quando il vino trascina il suo spirito.

Il ditirambo, in effetti, è il canto del culto di Dioniso.

 L’autore, che trasformò il ditirambo in forma d’arte, è senz’altro Arione, che ne curò la rappresentazione ad opera dei Satiri. Donde la verosimiglianza dell’interpretazione della parola tragedia riconducibile a tràgon odè= canto dei capri.

Grande valenza nella tragedia e nei cori, che l’accompagnano, invero, ha la componente satiresca.

 Congiuntamente a questa non può essere disconosciuta nella tragedia la pregnanza del mito eroico, connesso al culto di Dioniso, espressione del simbolo della duplice natura umana e divina.

Nel mito eroico la tragedia trovò contenuti, che vivendo di una vita innata nel cuore del popolo, come parte della sua storia, in pari tempo assicuravano ai temi trattati quella distanza, che è presupposto indispensabile per la grandezza dell’opera d’arte, come ci viene attestato da Aristotele ed in tempi più recenti da Hegel e Nietzsche.

I contenuti mitologici trovavano la loro resa artistica nei versi recitativi, che sovente si accompagnavano al coro con la partecipazione dell’attore- hupochritès –interprete- creando una situazione di commozione altamente lirica.

Temistio riferisce, come opinione di Aristotele, che in un primo periodo il coro solo cantava e che Tespi, che per primo presentò una tragedia alle Grandi Dionisiache nella 61^ Olimpiade, inventò il prologo e il parodo dando grande importanza alla rèsis –elemento narrativo- recitativo- con cui il coro annunciava nel prologo gli eventi che sarebbero occorsi nel corpo della tragedia, ovvero sottolineava gli stati d’animo nel momento in cui informava il pubblico degli atti drammatici e ferali. Infatti, nel rispetto della religiosità greca, non era concesso rappresentare nella scena delitti e misfatti.

Era affidato per l’appunto al coro il compito di enunciare gli eventi cruenti suscitando in tal modo negli spettatori un pathos profondo, che nel sublime dell’arte, sempre secondo la concezione aristotelica, conduceva  alla catarsi.

 

DIONISO- ARTE MELICO-DRAMMATICA ED ETHOS- CATARSI

 

Unico tra i celesti che non abbia due dei per genitori. Dioniso ebbe per padre Zeus e per madre la mortale Semele, figlia di Cadmo, re di Tebe.

 Zeus si presentava a Semele sotto le mentite spoglie del marito, al tempo impegnato in guerra.

 Il che accese la gelosia di Giunone che svelò il segreto a Semele.

 Semele allora chiese a Giove, che le si era si ripresentato nell’ingannevole aspetto del coniuge di mostrarsi, come le era sto suggerito dalla gelosissima Giunone, nel suo attributo divino.

Come è noto l’attributo divino di Zeus è la folgore. 

Nessuna divinità, secondo la concezione della mitologia greca, poteva celare il suo attributo fondamentale e a questa legge era sottoposto lo stesso Zeus, che dovette esaudire la richiesta di Semele.

Rivelatosi  Giove nel suo attributo conseguentemente Semele viene arsa viva.

 Nel grembo di Semele era fecondato il feto di colui che risarebbe chiamato in seguito Dioniso, frutto dell’amore con il dio

 Zeus allora tolse dal grembo della donna il feto non ancora formato, lo cucì ad una coscia, donde lo trasse a concepimento completo.

 Il re degli dei affidò poi il piccino ad Hermes, che lo diede ad allevare ad Ino, sua zia materna.

 Ma, dopo che l’ira della gelosa Giunone ebbe raggiunto e colpito anche Ino, Dioniso fu affidato alle ninfe Nisee, donde il nome: Dioniso- figlio di Zeus (diòs è in greco il genitivo di Zeus e Niso- dalle Ninfe Nisee.= allevato dalle Ninfe Nisee).

Dioniso ebbe tra i primi compagni anche Sileno e, diventando adolescente, imparò l’arte della viticoltura.

Il suo culto enormemente diffuso si estese in tutta la Grecia e l’Asia minore; in suo onore venivano celebrate grandi feste dette per l’appunto dionisiache.

 I Romani lo chiamarono Bacco e lo fusero con il dio Libero in analogia forse all’epiteto greco spesso rivolto alla divinità luaiòs- da lùo- in greco- sciogliere = colui che scioglie dagli affanni attraverso l’ebbrezza del vino. Orazio conseguentemente chiama il dio Lieo.

Ci siamo soffermati a parlare del mito di Dioniso perché anche il racconto tramandato della sua nascita e della sua adolescenza contiene i germi fecondi che saranno poi traslati nell’inventività poetica della tragedia.

L’idea dionisiaca,infatti, penetra nei tragikoi choroi.

 Secondo Untersteiner nella duplice natura del dio, quella umana e quella divina, si delinea il principio della contraddittorietà, che è un aspetto fondamentale dei choroi in particolare e della tragedia in generale.

 Dice Untersteiner “ Dioniso nella sua forma originaria mediterranea era un dio della vegetazione e perciò in sé compendiava l’idea della vita e della morte”

Il che ci induce a pensare che la rappresentazione della tragedia celebrava il magnifico fenomeno, determinato dalla duplice natura del dio, ponendo in risalto tutte le altre situazioni esistenziali e metatemporali che enucleano il principio di contraddittorietà presente nel vivere umano.

 Nel dio, infatti, si rivela la contraddizione implicita che manifesta la compresenza, in un solo essere di vita e di morte, di ebbrezza del vivere e di pathos profondo.

Dell’argomento si è interessato anche Walter F.Otto, che scorge in Dioniso il dio che soffre e che muore e, a un tempo, il dio giocoso e trionfatore.

 Nel simbolo della divinità l’uomo scorge gli ultimi segreti dell’essere e del non essere. Il mito di Dioniso, trasferito nella tragedia, induce lo spettatore a riconoscere il dio che dà l’ebbrezza della vita, ma che al contempo deve soffrire quel pauroso destino che affligge tutti quanti gli esseri umani.

 Chi partecipa ad un culto dionisiaco e/o ad una rappresentazione della tragedia greca, contempla nel suo animo la contraddizione dialettica di gioia e dolore, di ebbrezza e di angoscia, di cui si intesse il filo della vita stessa.

 Invero ogni eroe, rappresentato nella tragedia greca, è travagliato da almeno una contraddizione elementare, quella di essere un morto ed a in tempo un essere divino.  Il mito eroico e la religiosità dionisiaca sostanziano il grande fenomeno letterario della tragedia greca determinandone la fondante essenza poetica.

Il mito dionisiaco, congiunto al mito eroico, consente alla tragedia greca di raggiungere il sublime dell’arte, che si prefigge anche uno scopo pedagogico originato dalla catarsi dell’anima.

 Dice Aristotele nel cap.IV della Poetica “La tragedia è imitazione di azione seria e compiuta, con una determinata ampiezza, in uno stile seducente mediante ciascuna specie delle sue manifestazioni separatamente nelle sue parti e l’azione è dovuta ad attori e non esposta in forma narrativa. Per mezzo della compassione e della paura ottiene come risultato la purificazione (catarsi) ”.

 Si propone in tal modo una stretta connessione tra arte ed ethos e questo principio non riguarda soltanto le parti recitative della tragedia, ma comprende anche quelle musicali.

 Aristotele, infatti, ha connesso la musica del flauto col ditirambo, sia storicamente sia sotto il rispetto dell’ethos musicale.

Nel cap.VII della Politica, contrapponendosi a Platone, che aveva bandito il flauto dagli strumenti musicali il filosofo così si esprime “ Eppure tra le armonie la frigia ha la stessa forza che il flauto fra gli istrumenti; poiché pongono in una sfera di festività e sono appassionati. Lo mostra la poesia; poiché ogni poesia bacchica e ogni movimento ha tra gli organi come il più adatto il flauto, e questa poesia e questa danza trova la più decorosa corrispondenza nei canti frigi. Si ritiene concordemente che il ditirambo sia d’origine frigia. E di ciò offrono molti esempi coloro che questi hanno approfondito, tra gli altri quelli di Filosseno, il quale,essendosi accinto a poetare in tono dorico i miti, non vi riuscì; ma dalla natura stessa del carme fu costretto a tornare all’armonia frigia”.

 Aristotele, inoltre, in Poetica (6,13 a21-24) spiega gli effetti che il flauto produce nell’animo degli spettatori “ Il flauto non esplica una funzione etica, ma piuttosto produce lo stato d’animo dei sacri dròmena (riti effettuati in onore degli dei); in altre parole pone in una sfera di festività, cosicché conviene ricorrere a esso in quelle particolari situazioni, nelle quali la contemplazione (thèoria) ha la potenza di produrre catarsi, piuttosto che l’imparare”

Il succitato brano di Aristotele è particolarmente significativo, in quanto oltre alla precettistica estetica, stigmatizza l’aspetto fondamentale della paidea greca.

Secondo il filosofo, infatti, al di là di una prassi morale concepita in astratto, è necessario che questa si evolva nell’uomo attraverso la thèoria (contemplazione che trascende dalla mera conoscenza màthesis ed induce alla catarsi (dal greco katà +aìro= sollevare su- in altri termini- sollevazione- sublimazione[ dell’anima] .)

In Aristotele di conseguenza i principi etici, estetici, gnoseologici si compongono nella concezione dell’arte in un sinolo indissolubile.

 Il principio estetico si fonde con quello pedagogico ed avvia un discorso presente attraverso i secoli nella storia letteraria di ogni tempo. 

 

        

 

 

La presenza di Alceo di Mitilene nel tempo

 Alceo di  Militene contemporaneo di Saffo ed essa coetaneo è una delle figure più rappresentative della nostra lirica che fiorì verso il finire del VI secolo a Lesbo. Del poeta ci rimangono pochi frammenti, redatti dai filologi bizantini; altri sono nati attraverso la collezione di papiri trovati ad Oxjrhjnchos e che sono oggi al British Museum.  Quest’ultimi ci permettono con maggiore verosimiglianza di ricostruire l’iter poetico di Alceo, la sua vita, la sua storia.Soprattutto attraverso tali papiri i filologi moderni hanno posto la loro premessa per l’esegesi critica dell’attività poetica svolta a Lesbo.Lesbo era in antico uno dei focolari della musica e della poesia E’ a Lesbo che Tarpando ed Arione diffondono in tutta l’Ellade l’arte del cantore, che si accompagna alla cetra ed al barbiton, come ricorda Orazio..L’unisono degli elementi melici frammisti all’inventività poetica era già nota in tutta la Grecia e presente anche nell’immografia di carattere omerico e nei poeti ciclici, ma a Lesbo bisogna soprattutto cercare l’origine di quella forma di lirismo, di carattere non corale o collettiva, ma individuale.La lira di Lesbo interpreta nelle sue corde l’effusione di sentimenti individuali, fortemente interiorizzati, la contemplazione del Bello e dell’Armonia, il profondo senso del mistero cosmico.L’individualismo lirico dei poeti di Lesbo ed in particolare di Alceo e Saffo aprirà un dialogo con la poesia di ogni tempo sino alla generazione coeva.Il linguaggio di Alceo e Saffo ha tuttavia nelle sue movenze qualcosa di arcaico, che sul piano glottologico il Pisani ha raffrontato persino con Omero ed Esiodo. Diversa è, però, la vita del pensiero, che di sé alimenta la lingua di Lesbo, e se sul piano filologico la tesi del Pisani è inconfutabile, occorre svolgere un’indagine più vasta, proposta alla ricerca di valori morfologico-linguistici da comparare coll’animo poetico degli abitatori di Lesbo, ma soprattutto di Alceo e Saffo. Le movenze ritmiche si adattano anch’esse al linguaggio poetico; la strofe saffica ed alcaica si muove ora con maggiore ora con minor libertà rispettando tuttavia il metro indoeuropeo, dove anche il linguaggio popolare acquista significato e contenuto poetico.Il lessico viene assumendo significati nuovi rispetto a quella dell’epica ed approfondisce temi di natura, sentimento, colore. Il che, come afferma Scarcella, è il segno di un approfondimento spirituale.La pluridimensionalità, inoltre, corrisponde alla polisemia contenutistica.I poeti latini troveranno nella strofe saffica ed alcaica la loro costruzione metrico-strutturale e Orazio ne accoglierà l’insegnamento adattandolo ai fini della sua poetica.Ma, ritornando al nostro argomento, mi pongo ad esaminare l’opera e la vita di Alceo attraverso le testimonianze, che ci rimangono. La più antica è quella fornitaci dallo storico Dicearco, vissuto nel III secolo, e che ha scritto un trattato “ perì Alchaìou”; tuttavia l’opera, a noi pervenuta incompleta, non ci permette una ricostruzione assai fededegna, ma ci rivela l’interesse col quale si seguivanole opere di Alceo. L’articolo del Lexicon Suidas è andato disperso. Qualche informazione sparsa si trova presso Strabone e Diogene Laerzio.L’epoca in cui visse Alceo si deduce dalla cronologia data dal Lexicon Suidas, che considera Saffo, contemporanea di Alceo, vivente durante la XLIII Olimpiade (anno olimpico 612-608 ). Il Lexicon fornisce, inoltre, la stessa data per la cacciata di Melanchros. S. Gerolamo nota nell’anno 600/599 “Saphe et Alchaeus poetae clari habentur”.Alceo apparteneva ad una famiglia nobile dell’isola; i suoi fratelli contribuirono a rovesciare il tiranno Melancro della  famiglia  dei Cleanactidai. Il fratello Artemida è assai noto per le testimonianze di Alceo stesso.Dopo Melancro, però, una nuova tirannide è stata stabilita per mezzo di Mirsilio.Il poeta, esponente dell’aristocrazia di Lesbo, combatterà Mirsilio e alla sua morte inviterà a bere per il ritorno della libertà. Le lotte di parte lacerano, però,  all’interno la città.  Insieme con Pittaco Alceo prende parte alla guerra che la sua patria sostiene contro gli Ateniesi. Nella lotta, come già aveva fatto Archiloco, Alceo per salvarsi abbandona lo scudo.  Pittaco, compiuta l’impresa militare, ritornerà a vivere come privato; la sua figura altamente apprezzata dai Greci, sarà da Alceo vilipesa ed offuscata nelle odi di parte. Il poeta di Lesbo mescola ad elementi politici, al grido di guerra, alla lotte della sua città, all’odio per la tirannide, l’inno gioioso della vita, il canto dell’amore, la contemplazione della natura nei suoi aspetti più delicati e soavi, il simposio: espressione di gaudio e di ebbrezza. I grammatici alessandrini, pertanto, distinguono le sue opere in stasiothikà ( inni degli dei, canti di lotta civile) ed in erothikà (canti amorosi, simposiaci-)Nella sua vita piena di impulsi ed impeti Alceo aveva avuto una larga parte alla politica, all’avventura, al piacere. I suoi carmi erano per lo più l’espressione di un’esperienza personale riccamente vissuta e sentita nell’animo col palpito della Musa.I carmi del poeta sono citati da Aristotele, che forse possedeva un’edizione precedente a quella di Aristarco di Bisanzio, a cui si deve la scoperta degli umnoi di Alceo.Molte allusioni di Aristofane dimostrano che la lirica di Alceo era molto popolare. All’epoca alessandrina Teocrito si è ispirato ad Alceo; nell’età augustea, a  Roma, Orazio ha introdotto la strofe alcaica.Prima di Orazio Cicerone leggeva Alceo con piacere ed un po’ più tardi Dionigi di Alicarnasso loda la poesia alcaica “impetuosa e politica ed al contempo appassionata, amorosa, contemplativa.”. Quintiliano stesso non nega la sua ammirazione per Alceo. Al IV secolo la parafrasi che Imerio ha composto dell’inno di Apollo ci fa comprendere che Alceo era amato e stimato.L’iconografia aggiunge la sua testimonianza a quella della letteratura.Un’iscrizione di Pergamo menziona una statua di Alceo nella Biblioteca.Un vaso ellenico a figure rosse rappresenta Alceo e Saffo, che tengono in mano il barbithon ed il plettro.Il poeta inclina la testa davanti la poetessa. Il viso di  Saffo ha un’espressione severa e seria. La scena corrisponde alla tradizione, di cui ci informa Aristotele.  La poetessa, rispondendo ad un verso di Alceo, in cui il poeta manifestava il suo amore, aveva risposto: “Vorrei dirti qualcosa, ma me lo impedisce la vergogna”.La tradizione conosciuta da Catullo, che se ne servirà per dichiarare il suo amore a Lesbia, sarà nota ad Edituo, che in un suo epigramma così scrive: Dicere cum conor curam  tibi, Pamphilia, corda/Quid mihi abs te quaeram ,verba labris abeunt/per pectus manat subito mihi sudor/per pectus manat subito mihi sudor

Carducci volle essere l’Alceo italiano; tuttavia, come il Fraccaroli ha detto, tra il poeta greco e quello italiano c’è più un’affinità di contenuto che di vita poetica. Motivi comuni poetici nell’opera di Alceo e Carducci sono il simposio, l’amore, la passione politica. Alceo è rappresentato dal Carducci come un indomito apostolo della libertà:

Vino e ferro vogl’io ,come a’ begli anni

Alceo chiedea nel cantico immortal:

Il ferro per uccidere i tiranni,

Il vin per festeggiar il funeral.

Orazio volle essere l’Alceo romano, ma giustamente, come osserva l’Alfonsi, anche in questo caso la poetica oraziana accoglie la forma del poeta greco, mentre il contenuto elaborato nella sua coscienza esprime motivi ed esigenze proprie del suo spirito.

Bisogna, pertanto, partire dalla visione diretta della poetica di Alceo per poterne comprenderne, poi, gli influssi nella letteratura latina ed in quella italiana.

La lirica di Alceo nasce tutta quasi dal simposio.Tra le ghirlande odorose e le coppe ricolme fiorisce la spiritualità della Grecia giovane. Senofane ed Anacreonte avevano inneggiato pure al simposio. Ma i simposi di Alceo non erano così ordinatamente composti come quelli di Senofane e nemmeno così serenamente gioiosi come quelli di Anacreonte.  Senofane sarà un filosofo ed un saggio, Anacreonte sarà perpetuo convitato di tiranni, non dissimili da quelli contro i quali Alceo combatte senza tregua. Alceo portava tra le ghirlande del simposio il tumulto della guerra civile. E nella guerra civile Alceo infuse una passione selvaggia. “Ora  bisogna ubriacarsi, bisogna che ognuno beva a forza perché è morto Mirsilio” . E’ un grido selvaggio, espresso in due versi musicalissimi. E quando Orazio volle celebrare la morte di Cleopatra, che liberava Roma da un pericolo immenso, si ricordò dell’ode di Alceo e così scrisse:

Nunc est bibendum,nuc pede libero

pulsare tellus,nunc Saliaribus

ornare pulvinar deorum

tempus erat dapibus,sodalesIl confronto con Orazio fa meglio sentire l’impeto e l’impulso di Alceo, che disprezza i tiranni e persino Pittaco, dagli antichi ritenuto uno dei setti sapienti. In Orazio spira “l’aurea mediocritas”, in Alceo il fulgore delle armi e l’impeto dell’ira. Così l’immagine della sala d’armi si presenta al poeta come gioia del combattere, contemplazione delle corazze e degli elmi, che gli danno un fremito guerriero. Sfortunato nella guerra, Alceo non ebbe fortuna nemmeno quando combattè per la patria contro gli Ateniesi. I Mitilenesi furono sconfitti ed Alceo dovette gettare lo scudo. Mandò allora un araldo per annunciare l’avvenimento all’amico Melanippo. “Alceo è salvo, ma lo scudo non è salvo…….gli Ateniesi lo appesero nel tempio della Glaucopide”. Una simile disavventura era toccata già ad un altro poeta guerriero Archiloco. Archiloco aveva saputo con ironia sorridere, contento di essersi salvata la vita. Ma Alceo non sa sorridere; in lui c’è la tristezza di una guerra perduta e le sue parole suonano tristi. “Alceo è salvo, ma lo scudo non è salvo”. Anche Orazio si ricorderà dello scudo perduto nella battaglia di Filippi ( “non bene relicta parmula”) Alceo ama la guerra per la guerra e parla il linguaggio rude del combattente. “Le insegne non hanno ferite” dice in un suo frammento. Nei Sette contro Tebe, il dramma “pieno di Ares”, secondo la bellissima definizione di Gorgia, il combattente di Maratona fa ripetere ad Eteocle le stesse parole di Alceo. Quando il messaggero annunzia l’aspetto e gli urli terribili di Tideo, davanti alle mura di Tebe e ne descrive l’armatura Eteocle risponde impavido: ww.398  “ Ionon tremo per nessun ornamento: le insegne non fanno ferite”. Nessun omaggio più grande poteva rendere il tragico ateniese al guerriero di Lesbo, che facendo ripetere le sue parole ad Eteocle, che è la trasfigurazione poetica del combattente di Maratona. Anche Eschilo, come Alceo, preferiva all’arte del poeta il valore del guerriero. E nella lotta il poeta trasfigurava la sua terra nella rappresentazione allegorica di una nave sconvolta dalla tempesta. “Non comprendo da quale parte spiri il vento. Un flutto precipita da un lato, dall’ altro un altro flutto; in mezzo noi siamo tratti dalla nave nera, siamo fiaccati dalla tempesta”.L’allegoria della nave,ripetuta da Teognide e dai tragici, era già divenuta al tempo di Aristofane, un vecchio luogo comune. Tuttavia la troveremo ancora in Platone, in Cicerone, in Orazio, in Dante L’immagine della nave in Orazio nell’ode XIV del libro I è tuttavia meno originale e poetica

O navis, referent in mare te novi

fluctus. O quid agis? Fortiter occupa portus

Poeti più recenti si sono serviti dell’immagine della nave per significare il travaglio e l’incertezza del proprio animo Petrarca  nelle Rime scrive:

Passa la nave mia colma d’oblio

per aspro mare, a mezza notte, il verno,

in  fra Scilla e Cariddi……………….”

 E il Carducci:

 Passa la nave mia con vele nere

Con vele nere pe’ l selvaggio mare

L’immagine alcaica dunque si è trasferita nel linguaggio poetico di autori più recenti perché rappresenta non solo una figura retorica, ma è prevalentemente immagine lirica, che parla alla fantasia del poeta e da cui il poeta è affascinato. In Alceo, come nei grandi poeti antichi, non domina la logica, ma la fantasia, che spesso trasfigura il reale colmo di affanni e di angoscia. Alceo ha nella sua lira Bacco, il “luaios” ( colui che scioglie dagli affanni ); ricordiamo che lo stesso Orazio diceva “neque aliter effugiunt mordaces sollecitudines”; Bacco allontana il poeta dalla mestizia presente, dall’incombente pensiero della morte e lo induce ad un’ebbrezza vivissima. Così in un suo frammento Alceo dice: “Beviamo .Perché attendere i lumi? Resta assai poco del giorno. Prendi, mio caro le coppe dipinte: il vino che fa dimenticare gli affanni lo donò ai mortali il figlio di Semele e di Zeus. Versa, mescola uno e due calici, pieni fino all’orlo. Una coppa spinga giù l’altra”. La sua ansia di bere è di colui che vuol dimenticare; spesso all’invito a bere si associa il pensiero che bisogna affrettarsi perché la giovinezza è breve e l’uomo è destinato a morire.Ma Alceo è soprattutto il poeta che trasferisce nel paesaggio arso dalla natura od in quello candido innevato tutto il suo palpito poetico. Ci soffermeremo brevemente a parlare di due celebri odi di Alceo: l’una ambientata in un paesaggio estivo, l’altra in un’atmosfera invernale.La contrapposizione chiaroscurale differenziata dei due paesaggi ci permetterà di cogliere l’alternanza del palpito poetico di Alceo mediato da un profondo sentimento cosmico.L’ode dell’estate riprende alcuni spunti da Esiodo.“Quando fiorisce il cardo, e l’armoniosa cicala posata su un albero, spande delle ali il fitto, acuto canto, nei giorni afosi dell’estate, sono più pingui le capre e il vino è migliore, sono più lascive le donne, gli uomini più fiacchi poiché Sirio brucia la testa e le ginocchia e la pelle è secca per l’arsura. Allora possa io avere l’ombra di una roccia e il vino di Biblo…………..”Il fascino del passo esiodeo è nel tono calmo, riposato, idilliaco. Alceo, invece, incalza con quel suo caratteristico impeto.

 “Bagna i polmoni di vino: il sole ruota intorno a noi”

Ma in un solo verso si rinviene la novità del sentire poetico di Alceo. Esiodo diceva “la pelle è secca per l’arsura”, indulgendo ad un particolare realistico, vivo ed efficace. Alceo abolisce il particolare realistico e lo trasforma in un’intuizione geniale, grandiosa . “tutte le cose hanno sete per l’arsura”. Qui il senso panico di un pomeriggio d’estate è rivisitato in forma del tutto originale.“L’estate è uno scorcio di sconfinata e delirante luminosità mediterranea, il palleggiare pallido ed assorto dell’età greca.”Un poeta neogreco Odisseas Elitis, echeggiando il verso di Alceo dirà: “le cicale, le cicale negli orecchi degli alberi ,grande estate di creta / grande estate di sughero”.L’inverno ( fr. 338 ) è visto dal poeta nel contrasto tra il gelo esterno ed il calore della propria dimora nella ferma volontà di conquistare la gioia di vivere.

 “Piove dal cielo, grande tempesta scende

e sono gelate le correnti dei fiumi

Vinci la tempesta ammucchiando gran fuoco,

e senza risparmio mescendo vino dolce,

le tempia intorno cingendo di soffice lana;”

Ogni occasione per Alceo era buona per bere. Piove, fa freddo, tutto è gelato e il poeta chiede fuoco, vino, morbida lana. Tutto il frammento è pervaso da un senso gioioso della vita, che rimanda ad una purissima ebbrezza poetica che è originalissima di Alceo e che non può essere certo racchiusa negli stilemi di tipo classicistico.L’ode dell’inverno è stata imitata da Orazio. Il poeta latino sostituisce al paesaggio della Tracia il paesaggio di Roma con il monte Soratte candido di neve.

 “Vides  ut alta stet nive candidum

Soracte,nec iam sustineant onus

Silvae laborantes, geluque 

Flumina constiteri

L’ode oraziana  è piena di grazia, soprattutto alla fine, quando il poeta si allontana dal modello di Alceo e si abbandona al modello alessandrino.

Ma in Alceo c’è qualcosa di più forte e di più intimo e vigoroso. In Orazio, invece, giusta la tesi del Pasquali, c’è la tendenza ad alludere ad un modello classico, per poi procedere ad una novità di toni poetici. L’esercizio alessandrino di raffinatissima fattura è sempre presente in Orazio, mentre in Alceo vibra tutta la potenza di un immediato sentire poetico. Per Orazio il tempo non si può fermare e, come osserva il Mariotti, “ il nostro riscatto dall’annientamento inesorabile consiste nel limitare le speranze in mortificanti delusioni.”Figlio dello stoicismo e dell’epicureismo Orazio accetta la triste incombente realtà e si affida al volere degli dei. Così, infatti, prosegue nell’Ode I, 9, di cui parliamo:

 “Permitte Divis cetera. Qui simul

stravere ventus aequore fervido

deproeliantes nec cipressi

nec veteres agitantur orni

Orazio, figlio di un’età satura di civiltà, sa velare la sua melanconia di un sorriso ovvero riesce a  consolarsi stoicamente col monito “permitte Divis cetera”. Ma Alceo ama forse la vita molto più di Orazio e non si consola col “ permitte Divis cetera”. Il poeta di Lesbo vuole vivere con la totalità del suo essere la vita e non pensare davvero alla morte. Infatti ammonisce: “Non pensare alle cose di laggiù”.( ode a Melanippo fr.33 ). Come Orazio Alceo sembra indulgere al “carpe diem,” ma in forma diversa. Alceo ama la vita ardentemente; la vita per lui è la pura luce del sole, che non risplende per i morti. Quando Alceo scrisse l’ode a Melanippo  era ancora giovane.

“Bevi ( e inebriati ) Melanippo, con me. Che (mai) quando i vortici dell’Acheronte (avrai passati) attraversando il grande varco, (pensi che ancora) la pura luce del sole vedrai?- Ma orsù non aver grandi speranze.

E invero anche l’Eolide re Sisifo (tentò), il più saggio dei mortali, ( di sfuggire alla morte ); ma pure essendo astuto per volere della Parca ( un’altra volta  ) ripassò l’Acheronte , ( e gli impose) Il Cronide di sostenere una grave fatica ( sotto ) la terra nera. Ma suvvia,( non pensare alle cose di laggiù),  finchè siamo giovani, se mai altra volta ( dobbiamo sopportare ) qualunque di questi ( affanni  ci sia imposto di ) patire……. Il vento Borea…….la città…….citareggiare…….il soffitto………   ( trad. C. Gallavotti)

 Ma la melanconia giovanile diventa mestizia profonda in un frammento della vecchiezza, dove ancora il poeta vuol consolarsi con le gioie del simposio. “Su questo capo che ha molto sofferto, su questo capo canuto versate l’unguento”. Qui la chiusa umanità del guerriero è divenuta grande e profonda. All’animo del poeta non erano, inoltre, estranei i sentimenti più teneri e delicati, primo fra tutti l’amore. Con splendida immaginazione Orazio rappresentò il poeta di Lesbo, che tra il tumulto delle armi ed i mali dell’esilio, non appena la sua nave approdava al lido, subito cantava Lico dagli occhi e dai capelli neri. Ma il nome di Lico non ricorre neppure una volta nei frammenti. Un solo frammento è conservato ed è di una delicatezza infinita. “Chiedo che qualcuno mi chiami il grazioso Menone, se dal convito deve venirmi gioia”. Ma Alceo non cantò soltanto il suo amore: quest’uomo che così spesso non intese altro cuore che il suo, come afferma il Perrotta,  seppe intuire con profondità l’amore di una vergine innamorata. “O me infelice, o me partecipe di tutti i mali……….il mio timido cuore trema come quello di una cerva”. Il frammento ha in sé tale potenza e tale squisitezza che ci richiama Saffo. Saffo aveva cantato, infatti, “O dolce madre, io non posso più tessere la tela, domata per l’amore di un giovinetto dalla molle Afrodite”. E la poetessa greca così viene cantata da Alceo in un suo luminosissimo verso: “O Saffo pura, dal dolce riso, dal crine di viola.”.Conforto ai mali dell’esilio, oltre il vino e l’amore, era per il poeta la contemplazione degli dei eterni, che cantava negli inni. Cantò Ermes, Artemide, Atena, Efesto, Dioniso, Apollo. E cantò gli eroi : i Dioscuri, Aiace, Achille. Ci è stato restituito un lungo frammento dell’inno ai Dioscuri : “lasciando l’isola di Pelope, figli valorosi di Zeus e di Leda, venite con animo benigno, a Castore e Polluce, voi che l’ampia terra e tutto il mare trascorrete sui veloci corsieri e senza sforzo salvate gli uomini dalla morte lacrimosa, balzando da lontano fulgidi sulle cime delle navi dai bei banchi, luce apportando alla nera nave nella notte tenebrosa”. E’ nell’inno la solita sobrietà ed essenzialità lirica. L’epifania dei gemelli salvatori è concepita come un lume, che rompe le tenebre e che viene da lontano e salva per divino prodigio gli uomini dalla morte. E se la nave nera della notte fa pensare alle ansie e alle preghiere dei naviganti, la materia mitica, già contenuta nell’inno 33 omerico, come osserva il Romagnoli, si trasfigura in immagini che compaiono e scompaiono. Qui Alceo precorre Pindaro, che volgerà veloce, come spinto da una forza invincibile alla variopinta materia del  mito.Il poeta invoca gli dei, che salvano spesso i naviganti, facendo apparire la luce nelle tenebre della tempesta, poiché allo stesso modo egli deve essere salvato dai tiranni. Nel carme rivolto ad Hera, la veneranda dea, presso il cui santuario il poeta aveva trovato rifugio, ricorda con spirito tormentato il destino dei compagni, con i quali egli una volta sperava ed operava e che poi nelle lotte e nelle congiure avevano perduto la vita.E quelli domati dalla Parca scomparvero lasciando lutto e rimpianto negli amici…..noi dopo molti travagli potemmo giungere infine qui salvi, qui presso l’Arasse…………….”.Il ricordo dei compagni scomparsi è anche nell’invettiva contro Pittaco“che non si confidò a loro, non aperse a loro il suo animo”. Il poeta sembra ripercorrere lo stesso status animi che pulsa nei versi omerici Hom.I XVII vv.90 e segg. ” non sfuggì quel gridare al figlio di Atreo,/ che disse gemendo al suo cuore magnanimo: Ohimè se le belle armi abbandono/ La cogitatio bellli con il conseguente tragico epilogo dei amici  caduti in guerra  in Omero come in Alceo e ci conduce ad una riflessione di carattere universale: la tragicità dell’esistenza, il suo non Essere originati dall’incapacità dell’uomo di parlare all’altro uomo. E’ questo uno dei temi che affliggeranno tutte le età storiche ed in particolare la nostra generazione. Ma poiché coloro che sono caduti per la salute della patria hanno acquistato la figura di martiri, la loro Erinni dovrà colpire il traditore Pittaco che non ha tenuto conto di quel testamento morale e politico che essi hanno suggellato col sangue ed affidato ai compagni.E questo testamento è per Alceo un comunicare con l’animo dei morti, parlare con loro, quel colloquio, cioè, che unisce i vivi allo spirito dei defunti oltre le soglie della vita terrena.In tal senso s’intende il motivo perché Alceo abbia usato la parola omerica e l’abbia volta ad un senso perfettamente parallelo: dall’eroe che parla al suo animo con lo spirito dei defunti si passa con assoluta coerenza all’uomo di parte che parla col suo animo forte, pur conscio dei suoi travagli e dubbioso per il tenebroso avvenire.Un’altra composizione poetica purtroppo perduta e che si doveva certamente rifare ad Omero è il peana ad Apollo, noto in tutta l’antichità, di cui ci rimane una scolorita parafrasi di Imerio.Meglio di Imerio rievocò il canto di Alceo il Carducci.

 Delfo ai suoi tripodi chiaro sonanti

rivoca  Apolline coi nuovi soli

con i virginei peana e i canti

dei rusignoli

Dagli  iperborei lido al pio suolo

ei  riede, ai lauri del pigro gelo;

due cigni il traggon candido al volo

sorride il cielo.

 La parafrasi dell’inno ci rivela che il poeta aveva un sentimento profondo della natura. Per Alceo la natura è animata: gli usignoli, le rondini, le cicale, perfino le acque dei fiumi prendono parte alla gioia per l’arrivo del dio.Il profondo senso della natura, partecipe dei sentimenti umani, è presente in Teocrito come in Virgilio. Ma Alceo sembra rifarsi maggiormente alla lezione omerica allorquando il vate cantava che perfino l’acqua pareva sentire la presenza del dio e che la fonte Castalda scorreva con onde d’argento nel meriggio estivo per evocare con la luce del sole Apollo che profetasse agli Elleni la giustizia e la legge.E se Saffo ama i paesaggi notturni e lunari soffusi di chiaro nitore,cui corrisponde un’estatica e serena contemplazione dell’animo, Alceo preferisce rappresentare notti tempestose e procellose, quasi a sottolineare l’agitato turbinio delle sue passioni.Un altro locus assai ricorrente nella poesia di Alceo e che precede con incredibile distanza epocale la lezione ermetica e la poetica montaliana in particolare è il meriggio assetato di sole.Qualche volta alla contemplazione della natura s’accompagna una sensualità calda e raffinata, come nel frammento 64 “Ebro, il più bello dei fiumi, presso Eno, tu ti getti nel mare violaceo, muggendo attraverso la terra tracia. E molti vergini ti popolano e con le mani delicate accarezzano i femori delicati, versando la tua acqua come unguento”.Questa poesia appare subito di una modernità sorprendente in quanto riesce ad evocare dalle cose stesse una stretta relazione tra immagini—sentimenti, quasi a voler precorrere il concetto di “correlativo oggettivo” dominante nella poesia contemporanea.Invero Alceo non fu soltanto l’implacabile partigiano, il poeta dell’odio e della guerra civile, ma fu il poeta di una diversa e grande poesia, la cui eco rivive sino ai nostri giorni.Egli, scrive il Perrotta, “ versò l’ira di Achille nella strofe musicale di Lesbo”.  E lo stesso impeto che aveva nell’odio mise nel cantare il piacere, la natura, gli dei.Ed ai poeti greci più cristallini,ad Archiloco,a Saffo,ad Anacreonte assomiglia per la limpidezza e per il nitore, per la lucida levità delle immagini.Eppure per molti,per troppi ancora, è il poeta  del giudizio quintilianeo : “ poeta  dell’eloquenza e dell’allegoria”. Ma la critica antica aveva ben compreso il cantore di Lesbo.  Sinesio di Cirene diceva: “Alceo ha speso la dolcezza del canto nel cantare la propria vita e per questo la posteriorità conserverà il ricordo di quello che ha goduto e sofferto”.E di Alceo risuonerà ancora la lira nel tempo perché in lui l’Umanità cercherà sempre quello, che soltanto si deve cercare in un poeta: la trasfigurazione del sentimento nell’inventività fantastica, la forza impetuosa dell’animo, la pura luce della gioia, l’ombra sofferta del dolore.