Niccolo Machiavelli e la famiglia Borgia
Per documentare il rapporto tra Machiavelli e i Borgia prendiamo in esame tre lettere scritte dal segretario fiorentino.
La prima (Die 7 octobris 1502) si riferisce alla II legazione del Machiavelli al Valentino.
Il duca intendeva espandere il suo potere, ma lo status politico era pericoloso a causa di una congiura, ordita ai danni di Cesare Borgia, da un gruppo di condottieri e signorotti locali, che prima gli erano stati fedeli.
Il Machiavelli intuisce che la situazione, in cui versava il Valentino poteva precipitare in una svolta estrema , che avrebbe potuto causare la rovina degli Stati.
Non erano ancora note le posizioni dei Francesi ai Fiorentini, ma allorquando il Valentino chiese di trattare l’alleanza, fu proprio scelto Machiavelli, il più abile “lettore” della politica del tempo, ad affrontare nella qualità di ambasciatore questo difficile momento storico.
Così il Machiavelli si esprime nell’incipit della lettera:
“Magnifici et excelsi domini , domini mei sigularissimi( Sono i Dieci di Balia per i quali il Machiavelli prestava i suoi servigi) Trovandomi io a partirei costì non molto bene a cavallo…………………….mi presentai subito a Sua Eccellenza, la quale mi accolse amorevolmente; io presentandogli le lettere di credenza gli esposi la cagione della mia venuta. Di poi scesi alla separazione fatta dagli Orsini e alla dieta loro e loro aderenti,( si riferisce alla congiura dei condottieri) e come V. S. erano destramente state ricercate, e quale animo sia il vostro rispetto all’amicizia che tenete col re di Francia e devozione che conservate verso la Chiesa amplificando con tutte le parole mi occorsero, quello vi stringe a seguire l’amicizia di questi, e fuggire quella degli avversari loro; testificandogli come in qualunque momento, V.S. sono per avere tutti quelli rispetti alle cose di Sua Eccellenza, che si convengono alla buona amicizia che tenete con il re di Francia e alla divozione che avete portato sempre a Sua Signoria; reputando tutti gli amici di Francia vostri amicissimi e confederati”
La lettura dell’incipit della lettera ci fa chiaramente comprendere come il Machiavelli, nel rapporto con il Valentino e con la casa Borgia in generale, ( si pensi all’attenzione che rivolge alla Chiesa per l’appunto impersonata dal papa Borgia Alessandro VI) tenda a leggere la realtà effettuale degli eventi e cominci a realizzare la concezione di uno stato necessitato che possa radunare le “membra sparte” degli Stati Italiani.
Non poteva, pertanto, il Machiavelli non interessarsi ai Borgia che detenevano il potere temporale della Chiesa come pure non poteva disconoscere il ruolo che la Francia assumeva nel gioco politico del tempo.
Anche il rapporto con i Borgia fu, pertanto, per il Machiavelli una “necessità”.
Ma dallo stato di “necessità”, come vedremo innanzi il segretario fiorentino seppe trarre linfa per maturare il suo pensiero politico.
Come opportunamente afferma il Sasso, uno dei più autorevoli critici del Machiavelli : “Nella legazione a CesareBorgia, a contatto con un uomo impegnato in una situazione difficile ed ambigua, fatta di rischi sottili e di imprevedibili minacce, il Machiavelli vien dunque confermando e precisando le sue osservazioni sulla “necessità dello assicurarsi”, di abbandonare ogni indecisione e ogni incertezza, di scegliere sempre non le vie di mezzo, ma una condotta chiara ed estrema. .E, se certo, la consapevolezza che egli ora mostra di questi problemi è ben lontana da quella delle grandi opere, ciò non toglie che i termini essenziali del problema sono già presenti alla sua riflessione; le linee della sua concezione sono sostanzialmente indicate”
La seconda lettera (Datum Imolae 8 novembris 1502 ) è assai interessante in quanto in questa si comincia a delineare ancor con maggior perspicuità l’ideologia del Machiavelli.
Si può affermare in linea con la critica più accreditata che “il vero valore della legazione di Imola sta nella cruda lezione politica, che il Machiavelli registra e comincia a trascrivere in una coerente concezione politica” e per dirla sempre colle parole del Sasso “in questa prima affermazione della necessità, “per assicurarsi” di venir meno ai patti e alla parola data”
Il rapporto con i Borgia è, infatti, sempre da intendere sotto l’aspetto della categoria della “necessità storica” più che sul convincimento personale dell’autore.
Il Machiavelli nella prima parte della lettera dice di avere avuto un ragionamento con “quell’amico”, che altri non era se non il segretario del Valentino. E’ certamente un espediente valido per far comprendere la precarietà della contingenza storica , le ansie e le preoccupazioni del duca, di cui al contempo si esaltano quelle che sarebbero in seguito state per il Machivelli le doti peculiari del principe : la forza del lione e l’astuzia della golpe.
In questi termini ,infatti, si rivolge l’interlocutore al Machiavelli: “Segretario,io ti ho qualche volta accennato che lo stare in generale quei tuoi Signori con questo Duca fa poco profitto a lui e manco a loro perché il Duca, vedendo rimanersi in aria con vostre Signorie, fermerà i piè con altri………..Questo Signore conosce molto bene che il Papa può morire ogni dì e che bisogna pensare di farsi avanti la sua morte qualche altro fondamento volendosi mantenere gli stati che lui ha. Il primo fondamento che fa è sul re di Francia; il secondo sulle armi proprie……E poiché giudica che col tempo questi due fondamenti potrebbero non bastargli, pensa di farsi amici i vicini suoi e quelli che di necessità conviene che lo difendano………E cominciando tu vedi con Ferrara con quale amicizia si è fatta , perché oltre al parentado della sorella con tanta dote (Lucrezia Borgia sposò in seconde nozze nel 1501 il figlio del Duca di Ferrara, Alfonso d’Este) , si è benificato e benificasi tutto dì del cardinale suo”( Ippolito d’ Este)
Il ritratto del duca, invero, non si rapporta al personaggio reale, ma con l’ideale del principe, che man mano si configurava nella mente del Machiavelli e che doveva essere capace di mantenere unita l’Italia con l’appoggio della Francia servendosi altresì della religione come “instrumentum regni”.
Per questo la risposta del Mchiavelli al suo interlocutore non ci deve sembrare tanto encomiastica nei confronti del personaggio Valentino, quanto dell’uomo ideale, che la mente di Machiavelli vagheggiava, per sanare le piaghe degli Stati Italiani.
Così il Machiavelli, infatti, si esprime : “Io replicai brevemente e solo a quelle parti che importavano. Dissi in prima che questo Signore faceva prudentemente ad armarsi,e farsi amici; secondo gli confessai essere di noi desiderio assai…..terzo, quanto alla sua condotta, io gli dissi ,parlando sempre come da me, che l’Eccellenza di questo duca non si aveva a misurare con gli altri Signori, che non hanno se non la corazza, rispetto allo stato che tiene; ma ragionare di lui con il quale sta meglio fare una lega e un’amicizia che una condotta .E perché le amicizie tra i Signori si mantengono con le armi, e quelle sole le vogliono fare osservare, dissi che Vostre Signorie non vedrebbero che sicurtà si avesse avere per parte loro, quando i tre quarti o i tre quinti delle armi fossero nelle mai del Duca. Né dicevo per non giudicare il Duca uomo di fede, ma per conoscere le Signorie Vostre prudenti, e sapere che i Signori devono essere circospetti, e non dover fare mai cosa dove possono essere ingannati”
Dalla lettura di questo brano ci accorgiamo che il Valentino sembra connotarsi di tutte le caratteristiche fondamentali che in seguito caratterizzeranno il principe machiavelliano.
La terza lettera (4 novembris 1503) è stata scritta dopo la morte di Alessandro VI.
Al soglio pontificio era salito Giuliano della Rovere che aveva assunto il nome di Giulio II.
Il nuovo pontefice era stato un acerrimo avversario del papa Borgia e per questo motivo era stato esiliato per dieci anni.
La condizione del Valentino è adesso disperata. Dimostra di non possedere una “virtus” sua e la morte del padre non gli consente di mantenere quel potere sin in quel momento esercitato.
Per la prima volta vediamo che il Machiavelli assume un atteggiamento critico nei confronti del Valentino, che prima aveva ampiamente lodato.
Il che , però, non deve essere interpretato come un atto di incoerenza da parte del Machiavelli.
Invero, come abbiamo cercato di dimostrare, la parabola della casa Borgia coincide ampiamente con l’esperienza vissuta e maturata nella vita e nella coscienza politica del Machiavelli.
Ma il rapporto con la casa Borgia è stato sempre di natura estrinseca e legato alla “ragione di stato” e alla concezione politica in generale più che sull’autenticità dei personaggi.
Si è parlato e, non a caso, della parabola della casa Borgia , una casa, invero,
che dominerà tanta parte della storia, di cui il Machiavelli, che indagava sulla “lettura effettuale delle cose” non poteva non essere conoscitore, ma poi destinata a perire per l’assenza di quei valori paradigmatici che ben presto l’opera del Machiavelli ci propugnerà.
Nella concezione matura machiavelliano il mondo prammatico della politica tende a coincidere con quello paradigmatico e si afferma il concetto di “virtus” non più intesa come vis da riferire altresì a vir, ma come valore intrinseco all’uomo con implicanze di natura etica.
Inoltre il Machiavelli non accetta che il Valentino continui ad usare quell’animosità, che aveva sempre avuto nei confronti dei suoi avversari, e che adesso le diversificate condizioni storiche non gli consentono.
Alcuni brani della lettera, che appresso si riportano, sono indicativi del mutato atteggiamento del Machiavelli nei confronti della casa Borgia e per il nuovo volgersi dei tempi, ma soprattutto perché nel segretario fiorentino urgevano nuove istanze, che avrebbero in seguito sostanziato la sua concezione politica.
Il rapporto con la casa Borgia rimane, tuttavia, come una condizione necessitata dalla ragione storica dei tempi , mentre il paradigma ideale dell’ideologia politica machiavelliana adesso si volge ad altre figure anche del tempo antico leggendo il presente, come dice per l’appunto il segretario fiorentino,attraverso la continua lezione del passato.
Si comprende, pertanto, perché il Valentino non sarà più per l’autore l’inspiratore del Principe e perché , proprio alla chiusa della lettera il Machiavelli si rivolge a Giulio II che da ora innanzi diventerà “exemplum” della coeva civiltà.
Ad esemplificazione di quanto enunciato e per concludere il nostro discorso riferiamo alcuni stralci della lettera:
“Trovasi el Duca in un palazzo, in uno luogo che si chiama Stanze nuove, dove sta forse con quaranta dei suoi primi servitori; non si sa se si deve partire o stare……….altri dicono che non è per partirsi di Roma, ma per aspettare la incoronazione del papa, per essere fatto da lui gonfaloniere di Santa Chiesa…….altri credono che sono de’ manco prudenti………………………. perchè gli è noto el naturale odio che Sua Santità gli ha sempre portato , e non può sì presto aver smenticato l’esilio, nel quale è stato per dieci anni: et el Duca si lascia trasportare da quella sua animosa confidenza ; e crede che le parole sue siano più ferme che non sono sute le sue, e che la fede data de’ parentati debba essere data. Io non posso dire altro delle sue, né determinarmi ad un fine certo: bisogna aspettare el tempo, che è padre della verità.
Sembra che sia questa la prima volta che l’autore relazioni il tempo alla verità.
Segno questo che il nostro vuol andare oltre la verità effettuale delle cose, anche per considerare la sua vicenda con i Borgia non più nei termini di una contingenza storica definita, ma nell’ambito di una più ampia concezione storica nel tempo ed attraverso il tempo.
La chiusa, infine, della lettera evidenzia l’interesse del Machiavelli nei confronti di Giulio II , figura del tutto antitetica a quella di Alessandro VI
“Credo che questo dì, o domani al più lungo mi presenterò, mi presenterò al Papa, e del seguito ne darò notizia a Vostre Signorie, alle quali mi raccomando”